17 giugno 2017

Venezia, mia gloriosa. Alcune domande a Roger de Montebello a margine della personale al Museo Correr

 

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In occasione della terza edizione di MUVE Contemporaneo, La Fondazione dei Musei Civici di Venezia ha presentato “Ritratti di Venezia e altri ritratti”, personale dedicata a Roger de Montebello e a cura dello storico dell’arte e saggista Jean Clair. La mostra, visitabile negli spazi espositivi del Museo Correr, propone un excursus nella ricerca dell’artista franco americano, proponendo una serie di ritratti del volto della città e delle persone che la attraversano, facendo emergere una venatura equilibrata tra realismo e astrazione. Delle potenzialità della pittura e dell’esperienza veneziana, Montebello ne parlerà il 22 giugno, per un appuntamento pubblico con Gabriella Belli, direttrice dei Musei Civici di Venezia, e con il critico militante Jean Clair che, con ogni probabilità, non risparmierà la sua proverbiale verve contro le derive dell’arte contemporanea. Intanto, abbiamo fatto qualche domanda all’artista, che vive a Venezia dal 1992. 
Spesso capita di sentire annunciare la morte della pittura. Una previsione puntualmente smentita, visto che, ogni volta, la pittura riesce a rinnovarsi, trovando nuovi motivi e nuove soluzioni. Quale può essere il ruolo di questo linguaggio nell’arte e nella società contemporanea? 
«Credo che la pittura sia insostituibile perché è l’unica forma d’arte che crea immagini fisse e materiali, una produzione in cui la mano, l’occhio e la mente possono cooperare pienamente, in modo equilibrato e coordinato. Ci sono relazioni complesse tra fotografia e pittura. La fotografia ha certamente cambiato il nostro modo di vedere il mondo e ha creato una nuova bellezza. La fotografia è la constatazione fredda di un’assenza: l’assenza di un soggetto. La pittura è proprio l’opposto: si tratta di una presenza calda. La pittura non riflette un momento specifico, crea un oggetto tattile e una visione incarnata nella materia, per costruire una presenza e immaginare un passato o un futuro. Se mi chiedessero di scegliere una singola fotografia da portare su un’isola deserta, sceglierei senza dubbio la riproduzione di un dipinto. Perché anche nella forma di riproduzione fotografica, un dipinto non ha eguali a testimoniare la grandezza della mente umana e dei suoi sogni.» 
Siamo fatti delle esperienze che abbiamo vissuto, delle sensazioni che proviamo. L’arte, poi, riesce a trasformare questi stimoli in segni. Che stimoli ti ha dato non solo il paesaggio veneziano ma tutta l’atmosfera della laguna? Che segreti hai scoperto? 
«Ho scoperto che Venezia fa coincidere contemporaneamente: 
1) La struttura di un mondo geometrico speculare, fatto di linee orizzontali, verticali e diagonali, che è la forma del mio pensiero visivo. 
2) Tutto ciò che l’uomo ha creato passa, attraverso il suo riflesso nell’acqua, nel dominio della natura, portando un grande senso di armonia e completezza. 
3) Dominano vasti cieli e orizzonti, promesse di libertà. 
4) Gli elementi che la compongono sono frutto della storia materiale e spirituale della tenacità umana. 
Venezia corrisponde alla struttura del mio pensiero ed è la più bella manifestazione nel mondo reale. Dipingere Venezia, per me, è come interpretare una partitura musicale inesauribile.» 
Vivi a Venezia da molti anni ormai. La città è cambiata oppure è rimasta sempre uguale? Che tipo di rappresentazione ne hai dato? 
«Per me ciò che di Venezia è essenziale è rimasto immutato. Conosco Venezia da un paio di decenni ma la sua natura unica di città costruita sull’acqua, c’è fin dalla sua nascita. Tutto il resto è accidentale. Spesso mi viene chiesto se Venezia affonda nell’acqua. Io rispondo sempre: “No, è il contrario. Venezia emerge dall’acqua, come una visione gloriosa”. È anche questo che cerco di esprimere nei miei dipinti ispirati alla città e alla sua laguna.»

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