21 giugno 2017

Auguri, Galleria Nazionale. Con tre mostre

 
Un anno fa l'annuncio: Cristiana Collu diventava la nuova direttrice della Galleria Nazionale di Roma. E oggi se ne festeggia il compleanno con tre mostre, sotto lo stesso tetto

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A far da guardiani, sulla scalinata di quella che è oggi la Galleria Nazionale (e non più solamente GNAM) di Roma, una ricerca sulla scultura che Davide Rivalta porta avanti da anni: sono i suoi Leoni, che per l’occasione diventano cinque.
“I leoni sono i custodi di un luogo dove ospitare e abitare l’utopia, dove avere coraggio, energia, forza, sempre all’erta, vigili e pronti allo scatto al di là di ogni mansueta apparenza”, scrive la direttrice Cristiana Collu.
Ma i Leoni sono anche l’esempio, appunto, di una pratica scultorea antica – quella della fusione in bronzo – che Rivalta rilegge in chiave contemporanea. E poi c’è il “Corpo a Corpo”, sotto la curatela di Paola Ugolini, che attraverso il lavoro di una serie di artiste come Marina Abramovic, Tomaso Binga, Ketty la Rocca, Gina Pane, Francesca Woodman ripercorre le forti tematiche che contraddistinsero il fisico umano come “tavola” su cui scrivere il linguaggio dell’arte negli anni ’60 e ’70. Anche in questo caso, però, il pensiero di ieri è associato con le pratiche di oggi, con le opere di Goldschmied&Chiari, Chiara Fumai, Silvia Giambrone, Valentina Miorandi e Alice Schivardi e il duo parigino Claire Fontaine. Uno sguardo trasversale, insomma, come è avvenuto anche nel riallestimento (in realtà da parecchi criticato, lo scorso autunno) di Collu nelle sale della Galleria. 
Infine, al banco di prova romano, anche “/Uncinematic”, personale “filmica” dedicata a George Drivas, a cura di Daphne Vitali. Drivas, che quest’anno rappresenta la Grecia alla 57esima Biennale di Venezia, è invece il contrappunto a queste intercessioni sul filo del tempo: i suoi film potrebbero essere ambientati in qualsiasi momento e ovunque, nel futuro o nel passato, trasmettendo contemporaneamente un aspetto futuristico e retrò, focalizzandosi però a sua volta sull’umano visto attraverso le sue relazioni esistenziali, sulla mancanza di comunicazione, sui desideri sessuali inespressi, nell’epoca del controllo. 
Ed è forse proprio questo che oggi si deve chiedere a un museo: la possibilità di dialogare costantemente nel registro del tempo, solcando il presente e non dimenticando il passato; evitando di lanciare ancore nel futuro senza dimenticare – prima – di agganciarvi il passato. Non tanto per essere frenati ma anzi, per essere più forti nel rinnovamento. Una lezione che ogni luogo della cultura dovrebbe far propria. Servono, oltre ai fondi, il coraggio delle istituzioni. E allora si torna sulle scale, con quei leoni simbolo e metafora dei territori inesplorati, “delle terrae incognitae dell’arte”. Auguri! 

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