20 ottobre 2017

TEATRO

 
Puppets 3.0. La realtà? La scegliete voi a Centrale Fies
di Cinzia Pistoia

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Arrivare a Centrale Fies a Dro per partecipare agli spettacoli di SUPERCONTINENT è come giungere senza mappa in un posto dove fluttuano realtà sconfinate. Scordatevi di essere solo spettatori; una volta preso il biglietto avete in mano il pass per percorrere da voi la sperimentazione. In fondo è normale, Drodesera da ben 37 anni ci mette di fronte al contemporaneo, ne esplora i terreni ospitando lavori concreti, snocciolando temi e questioni che abitano il tempo corrente. 
Fra uno spettacolo e l’altro chiunque incontriate avrà visto qualcosa di differente da ciò che vedete voi. Le diversità quindi s’intrecciano, si uniscono attraverso sistemi meticolosi per costruire un tessuto capace di contenere complessità – l’insieme di cose- in una trama centrata e in divenire. Supercontinent è così: siamo live, davanti all’evoluzione di un linguaggio in mutamento, pronto alla contaminazione e pratico di un ragionamento inclusivo su realtà poliedriche dove ogni tema trattato funge da allestimento per riflessioni attive, disposte ad essere parte di un’incognita.
In una delle tessiture del festival ci sono i puppets; pupazzi 3.0 che compaiono in molte opere tra le quali per esempio in film come Baby Marks di Pedro Ryes e nella rivisitazione dell’Otello di Pasolini in Che cosa sono le nuvole?, o in rappresentazioni e performance come Sorry, boys di Marta Cuscunà o Il Vendicatore di Riccardo Giacconi e Andrea Morbio in collaborazione con Giacomo Onofrio
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Pier Paolo Pasolini Che cosa sono le nuvole?
Da sempre i pupazzi sono parte dell’immaginario collettivo, usati come strumento per veicolare e diffondere la morale attraverso storie vere. Sono esponenti innocui di aneddoti e informazioni che ci mettono faccia a faccia con i fatti. Presenti oggi sotto forma di avatar, robot o nicknames sono la versione attuale di un corrispondente diretto nell’era del digitale. Dei burattini muta la forma ma mai il ruolo e gli artisti, in modo differente, li impiegano come tramite per riflettere, raccontare visioni e porre questioni. Nella rappresentazione di Marta Cuscunà i personaggi incarnati dai burattini (una serie di teste mozzate) si chiedono ininterrottamente spiegazioni riguardo ad una questione che li ha coinvolti in modo virale. La storia è ispirata ad un fatto veramente accaduto: 18 ragazze americane sotto i sedici anni rimangono incinte simultaneamente con l’idea di istituire una comune dove allevare insieme i loro bambini. Questa decisione, frutto di un patto segreto, andrà ad influenzare le vite dei futuri giovani padri e delle rispettive famiglie. Sorry, boys, attraverso questi avatar pupazzi, mette in scena in modo eclatante la rincorsa ossessiva verso la necessità di una risposta all’accaduto. Ma ancora di più, cerca di andare a fondo nell’indagine, usando i personaggi per comprendere la natura dell’ambiente sociale nel quale questo patto si è dimostrato così prolifico e fecondo.
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Marta Cuscunà Sorry, boys
Poi si sa, nella sperimentazione bisogna anche saper osare: cosa può centrare un’opera antica ad un festival contemporaneo? Nel cortile Forgia, dentro il buio della sera, ecco spuntare la scenografia di uno spettacolo viaggiante: è arrivato il teatro dei burattini. Giacomo Onofrio porta in scena Il Vendicatore (una tragedia degli anni ’30 tramandata dalla sua famiglia) che narra la storia di una vendetta accaduta in val Brembana ai primi del ‘900 e Riccardo Giacconi e Andrea Morbio decidono di diffondere l’opera per evitare che vada perduta negli anni. Raccontandole le storie, in un modo o nell’altro, si ripresentano sempre; nulla rimane sepolto indistintamente nel passato. In questo, non ci sono succursali del concetto, tutto quello che vedete è qui, fruibile dentro l’attualità.  Di vecchio c’è solo la vicenda poiché vedendo la rappresentazione ci accorgiamo che qualcosa accade ogni volta. Si riapre sempre una questione che ci tocca in punti sconosciuti e capiamo che ogni momento ha la sua verità e che essa si riproduce facilmente cambiando solo fisionomia. Il pupazzo 3.0, come tutti gli altri pupazzi della storia, ci porta altrove, dentro di noi, a scoprire retrovie e connessioni attraverso il nostro stesso tempo.
Cinzia Pistoia

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