04 agosto 2017

Romina in crisi. Allo Spazio Nea di Napoli, continua il ciclo espositivo Primo Mercato

 

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Secondo appuntamento per la rassegna “Primo Mercato”, progetto espositivo, a cura di Marcello Francolini, che porta alla Galleria Spazio Nea, a Napoli, da maggio a dicembre, Dario Agrimi, Giuseppe Biguzzi, Elio Varuna, Roberto Marchese e Olmo Stuppia
“Millenovecentoventinove” è il titolo della personale di Giuseppe Biguzzi (Ravenna, 1968), chiaro riferimento alla crisi meglio ricordata come “Grande Depressione” che a fine anni ’20 colpì l’America e l’economia mondiale. Il disagio sociale dovuto al tracollo economico viene qui riletto attraverso lo straniamento del corpo di Romina, modella prescelta da Biguzzi per questo ciclo di opere. 
La tristezza cronica è ciò che trasmettono le delicate forme della figura femminile rappresentate dall’artista, espressione di un male di vivere generazionale che non trova conclusione né consolazione. Il corpo non è inteso muscolarmente ma solo come involucro in attesa, scevro da intenzionalità che non va oltre il lasciarsi guardare. Per quanto si conosca il nome della giovane donna ritratta, la sua è solo un’immagine che vive una sorta di sospensione e astrazione da ciò che la circonda, rifiuta il contatto con l’esterno, lo sguardo del pubblico. Tutto ciò permette di renderla una metafora concettuale e allo stesso tempo di potersi rispecchiare in essa. La propria concentrazione ed emozionalità è incentrata nella sua intimità che mostra con elegante indifferenza. La sua persona viene anche duplicata, triplicata fino a quadruplicarsi, come se prendesse movimento, si scindesse come in una lenta danza, “un’oscillazione della psiche”, un rimando freudiano all’io es e super-io. La donna dà la sensazione di perdersi e allo stesso tempo risalta all’interno della tela, grazie sia alla linea di contorno che al fondo accuratamente lavorato con tre diverse stesure di grigio (neutro, freddo e caldo) infine definito con un ultimo strato di bianco zincato. La particolare tecnica crea una staticità quasi onirica che fa nascere nello spettatore la sensazione di attesa, come se dovesse avvenire una potenziale azione. Secondo l’artista, ‹‹la pittura può, attraverso il colore e la forma, descrivere un disagio umano senza essere didascalica ed esplicita››. Così, ogni segno reinterpreta malinconia, nostalgia, riservatezza e la tenerezza di chi lo vive e di chi lo osserva. (Michela Sellitto)

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