18 agosto 2017

Un ricordo per Chiara

 
La sensibilità della giovane artista recentemente scomparsa, nel racconto a più voci del mondo dell’arte

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A darne per primo la notizia è stato Pietro Marino, dalla sua pagina di Facebook. Quindi, la voce della tragica scomparsa di Chiara Fumai si è diffusa velocemente sulle bacheche dei tantissimi che, nonostante la giovane esperienza dell’artista nata a Roma nel 1978, hanno avuto modo di incontrare, anche per brevissimo istante, la sua poetica così legata alla sua esistenza, apprezzandone la ricerca artistica, la raffinatezza e l’originalità. Incredulità e sgomento sono state le reazioni immediate per una vita perduta così presto, con tanti progetti da realizzare e appuntamenti già fissati, come, tra gli altri, quello ad ArtVerona, dove avrebbe dovuto preparare un Dj Set con performance, nell’ambito del progetto La seconda notte di quiete.
E, adesso, assumono una definizione tragica i segni di quella particolare sensibilità che, spesso, porta alla fragilità, tanto preziosa quanto pericolosa. Per ricordarla, vi proponiamo un racconto a più voci. 
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Chiara Fumai legge Valerie Solanas
‹‹Nel 2010, insieme a Sabrina Vedovotto, decidemmo di aprire la stagione di 26cc invitando dieci giovani artisti a raccontare in maniera non ortodossa il loro lavoro. Chiara Fumai era poco conosciuta; fu Silvia Giambrone, che aveva partecipato insieme a lei al Corso della Fondazione Ratti, a suggerirci di chiamarla. Il suo talk fu davvero sorprendente. Dopo aver raccontato con leggerezza e ironia la sua evasione da un carcere olandese con addosso soltanto una coperta (i vestiti le erano serviti per realizzare la corda per fuggire): The Girl with the Blanket, con fare molto serio presentò il lavoro di Nico Fumai, cantante della italo disco anni 80, mostrando foto, dischi e facendo ascoltare parte del suo repertorio. Un inganno perfetto, ma soprattutto una performance di grande efficacia che metteva in evidenza il suo “modo intenso e generoso di stare al mondo.” Quella sera, tra il pubblico c’era anche Carolyn Christov-Bakargiev. Mi piace pensare che quel talk in uno spazio no profit della periferia romana, le valse l’invito alla Documenta del 2012.›› (Cecilia Casorati)
‹‹Ero a Venezia e ho prenotato la sua performance alla Fondazione Querini Stampalia, I did not Say or Mean Warming, del 2013. L’ho vista in azione e ho subito capito che era un’artista vera, intensa, rigorosa, preparata e geniale. L’ho chiamata poco dopo, ero ancora all’inizio, nessuno mi conosceva, le ho proposto un piccolo intervento a Roma. Lei che era già arrivata lì dove stava, dopo aver partecipato a Documenta e aver vinto prestigiosi premi, ha accettato subito con entusiasmo e fiducia. Anche questa era Chiara. Mancherà la sua arte insieme al suo specialissimo modo di essere artista e donna, con la sua eleganza, la sua apparente durezza, la sua franchezza e il suo diverso sguardo sul mondo.›› (Cristina Cobianchi)
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Chiara Fumai, Shut Up, Actually Talk (2012-2015)
‹‹Chiara Fumai aveva progettato la sua Vetrina alla Libreria delle donne di Milano, per Novembre 2017. Ci eravamo viste il 30 aprile a Milano, mi aveva raccontato il progetto: una serie di foto della sua mamma da giovane che andavano a comporre sulla vetrina l’immagine di un corpo. Foto che mettevano in primo piano la bellezza, l’erotismo, l’anticonformismo di una donna. Non era sicura di dichiarare esplicitamente che facevano riferimento alla sua mamma, ma ci teneva a mettere in evidenza il corpo della madre come il corpo di una donna a tutto tondo. Ha abbozzato una specie di layout. Chiara mi aveva detto che era sofferente, ma che si stava riprendendo ed era contenta che questa proposta mi fosse piaciuta molto. Pioveva tantissimo, aveva un bel vestito di seta e sopra un impermeabile scuro. Le ho chiamato un taxi e ci siamo salutate contente, perché avevamo trovato una data in cui poteva lavorare con calma. Avrebbe dovuto fare il progetto in maggio scorso. Forse avrei dovuto insistere…, ma era così gentile e decisa che era istintivo fidarsi di lei e assecondarla. Raccontava con immaginazione i progetti che aveva fatto e quelli a cui pensava, vedendo il suo lavoro si intuiva subito come entrare in contatto con lei.›› (Francesca Pasini)
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Chiara Fumai, con Harry Houdini, Free like the Speech of a Socialist
‹‹Chiara l’ho incrociata per la prima volta nel 2007. Avevo visto un suo video, I’m a Junkie, e l’ho portato quell’anno alla Mostra internazionale del cinema di Pesaro dove curavo una sezione tra cinema e video arte. Era una sorta di videoclip di una cantante greca degli inizi del ‘900, Rosa Eskenszi, messa in scena da Chiara sulla riva del mare. Aveva le treccine, nel video, le treccine e gli abiti tradizionali grechi. All’epoca Chiara era ancora divisa tra il suo lavoro d’artista e il suo essere dj Pippi, Pippi come il nome del cane che per tanto la ha accompagnata, ma anche come Pippi Langstrumpf, Pippi Calzelunghe, che quel video in qualche modo ricordava. Io cerco e cercavo immagini da proiettare, e Chiara ha percorso un cammino dove l’immagine era tutto. La donna barbuta, la performance su Nico Fumai, i riti sciamanici che riportavano in galleria artisti morti da tempo, Valerie Solanas o Ulriche Meinhoff. Erano immagini senza supporti, che volavano nell’aria e che si volevano far intercettare. Nel video di I’m a junkie, Chiara qualche secondo prima della fine della canzone sparisce improvvisamente. Rimane solo un panorama sulla spiaggia, senza più lei. Musica e immagini continuano a persistere. E persiste anche il suo essere artista. Il suo esserlo e il suo volerlo essere. Manca solo il corpo, e quel mancare è atroce.›› (Antonio Pezzuto)
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Chiara Fumai, Moral Exhibition House, Kassel, dOCUMENTA (13)
‹‹Il mio ricordo più vivo di Chiara risale al 2010, quando già non era più una promessa, ma neanche aveva riscosso i successi degli ultimi sette anni. La conobbi una sera a Bari durante una festa. Mi colpì la sua energia e la sua passione. La sua grinta e combattività. Amava costruire mondi ove finzione e realtà si confondevano pericolosamente. È stato questo anche un po’ un tratto della dOCUMENTA (13) di Carolyn Christov-Bakargiev, alla quale non a caso fu invitata.
Il giorno dopo averla conosciuta andai a casa sua a vedere il suo lavoro. Mi aprì il mondo dell’Italo Disco, dal quale io ero un po’ disgustato perché mi risvegliava ricordi passivi di infanzia. Lei però, al di là del kitsch, nell’Italo Disco aveva colto anche un valore di critica che a me sfuggiva. Circa dieci voci per qualche centinaio di cantanti che si esprimevano in inglese ma con accento italiana non era una grande presa per i fondelli per il pubblico italiano? E come facevano a non accorgersi che Den Harrow era un nome fittizio che alludeva alla parola denaro?
Per questo il lavoro di Chiara cui più sono legato è quello dedicato al padre Nico Fumai, che aveva trasformato in un cantautore italiano il quale, avendo esordito nel 1963 ed essendosi ritirato dalla scena musicale nel 1987, avrebbe contribuito al passaggio dalla canzone italiana romantica alla Italo Disco. Aveva utilizzato cioè tutta una serie di materiali tratti o dagli album di famiglia o da dischi di altri cantanti per mettere insieme una gran quantità di falsi documenti attestanti il percorso del padre, in primis i dischi in vinile con tanto di copertine simulanti le modalità dell’epoca. Per quanto assumesse come materiale il mondo della musica e non quello delle arti visive per me il lavoro su Nico Fumai rimane esemplare per la critica istituzionale del XXI secolo.›› (Stefano Taccone
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Chiara Fumai
‹‹Ho conosciuto Chiara Fumai qualche anno fa a Bologna in occasione del Premio Furla, che poi lei ha giustamente vinto con il bellissimo e, per alcuni disturbante, lavoro su Valerie Solanas. Con Chiara ci siamo piaciute subito, lei era bella, intensa, intelligente, sensibile e portava avanti con grazia e un pizzico di follia un lavoro davvero importante e profondo sul femminismo e il ruolo della donna nella società contemporanea. Avevamo molti punti in comune, alcuni profondi, come la passione per gli studi sul femminismo, la magia e la stregoneria e alcuni, considerati dai più come superficiali, come una certa inclinazione a saltare i pasti e la passione per gli animali, fra cui in primis i cani, che abbiamo sempre trattato come i nostri bambini. Con Chiara abbiamo cominciato a lavorare due anni fa quando le ho proposto di far parte del gruppo delle giovani artiste italiane che avrebbero dovuto confrontarsi con le storiche rappresentati della Body Art in quella che è poi diventata la collettiva “Corpo a Corpo” che attualmente è in corso alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Grazie a Cristiana Collu e Massimo Mininni ho potuto curare questa mostra sulla Body Art femminile che si apre proprio con il grande wall drawing di Chiara su Valerie Solanas che ad oggi non era ancora mai stato installato in un museo romano. Lavorare con Chiara Fumai è sempre stato un piacere, era appassionata, attentissima, fiduciosa e non creava problemi inutili. Avevamo altri progetti fra cui una tavola rotonda e lei sembrava felice, anche se forse ultimamente un po’ assente. Mi mancherà moltissimo e mi mancheranno le nostre chiacchierate alla buvette davanti a una centrifuga con i nostri cani, il mio boxer al guinzaglio e il suo minuscolo toy che spuntava curiosa dalla sua borsa. Ciao Chiara sei stata come una bellissima farfalla che ha attraversato con grazia un mondo difficile.›› (Paola Ugolini)
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Premio Furla 2013, Chiara Fumai
‹‹La prima cosa che Chiara Fumai avrebbe fatto sarebbe stato ridere. Ridere dei tanti pavlovismi che proprio non ci si riesce a tenere per sé in questi momenti. Ridere di ogni “una stella che si spegne”, di ogni “i suoi fantasmi”, di ogni altro puntualissimo automatismo scritto o detto in queste ore. E avrebbe riso, Chiara, perché più di tutto credeva che la lingua dovesse essere liberata dalle catene a cui pigramente ci si abbandona. Che cos’è infatti il patriarcato se non questa mediocre neutralità? Free like the speech of a socialist recita il titolo di una sua performance, ma ogni sua opera e non solo questa dà accesso a un linguaggio nuovo e privato oppure rende comprensibili messaggi cifrati o dimenticati, terribili o entusiasmanti. Certo però bisogna saperli ascoltare per fare la rivoluzione: follow this you bitches! ma anche I did not mean or say WARNING
Poi Chiara Fumai si sarebbe arrabbiata molto. Arrabbiata col noto gallerista che condivide su Facebook la foto sbagliata, o con la fondazione internazionale che confonde Zalumma Agra con Annie Jones. Ne avrebbe parlato per mesi perché oltre al genio luminoso che indiscutibilmente era, Chiara più di tutto era una persona precisa. Parlava solo di cose che conosceva bene, avendole lei vissute o studiate con dura disciplina. Perciò cosa fare ora per onorarla? Ripagarla, mentre scriviamo o parliamo di lei, con la stessa precisione che avrebbe preteso da se stessa. Oppure scegliere il silenzio. 
Shut up, actually talk. 
With love from $inister.›› (Francesco Urbano Ragazzi, marito)
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Chiara Fumai, Shut Up, Actually Talk 

‹‹Nel 2010 con Cecilia Casorati pensammo che fosse interessante, nell’ambito dei progetti che stavamo facendo a 26cc, spazio no profit romano chiuso nel 2012, di realizzare una serie di incontri con artisti giovani bravi ma ancora poco conosciuti. Tra gli altri Gian Maria Tosatti, Margherita Moscardini e Chiara. La serie si intitolava Lo spazio bianco
Ricordo che Chiara era ospite di Silvia Giambrone, così andai da lei per parlare del talk (che in realtà fu una performance, la performance di Nico Fumai), ma anche per vedere alcuni suoi lavori. Lei aveva uno sguardo duro e dolce allo stesso tempo. Io ero nervosa, a casa di Silvia c’era un gatto, io ero incinta ma non volevo dirlo a nessuno. E non volevo che il gatto mi si avvicinasse. Dunque ero sempre in movimento, in piedi seduta, mentre Chiara preparava la performance da fare a 26cc ed intanto mi raccontava i suoi lavori. Ad un certo punto mi guarda e mi dice di stare calma, che lei sapeva. 
Non eravamo amiche con Chiara, e negli anni a venire ci siamo viste di sfuggita, durante le sue performance,  ma mi è rimasta sempre in testa questa sua capacità di leggere negli animi, di comprendere i dolori e le gioie altrui. Ciao Chiara.›› (Sabrina Vedovotto
‹‹Voglio ricordarla con le parole che ultimamente aveva paura di dire, pur sentendole nell’anima: SONO PAGANA.›› (Antonella Spano)

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