23 agosto 2017

Qual è la migliore opera d’arte dell’estate 2017?

 
Da Hans Ulrich Obrist a Cecilia Alemani, in due puntate il parere di 18 autorevoli esperti intervistati da Artnet news

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Un’estate davvero unica quella di quest’anno. Con l’allineamento perfetto di tre “pianeti” must dell’arte contemporanea: la Biennale di Venezia, la Documenta a Kassel e lo Skulptur Projekte Münster. Eventi seguitissimi, a partire dagli addetti ai lavori. Artnet news, la nota piattaforma di informazione dedicata al mercato dell’arte, ne ha selezionati 18. E a tutti loro ha rivolto la stessa domanda: «Qual è la migliore opera d’arte che hai visto quest’estate?». Il primo a rispondere è una vera e propria eminenza grigia, oggi si direbbe un “influencer” del sistema dell’arte. Hans Ulrich Obrist, direttore artistico della Serpentine Gallery di Londra. «Un pezzo che mi ha particolarmente colpito – ha dichiarato Obrist – è stato il film intitolato Liminals (still nella foto in alto) alla Biennale di Venezia, firmato da Jeremy Shaw. Tratta il tema del futuro dell’estinzione, nel quale troviamo “culture ai margini della società e altruiste”, nel senso che cercano di salvare l’umanità attraverso un’evoluzione forzata. Uno di questi gruppi è Liminals, che si serve di rituali ormai dimenticati per accedere a uno spazio che si trova a metà strada tra il mondo fisico e quello virtuale. L’installazione video, inizialmente, sembra essere un documentario in bianco e nero degli anni ’60 e ’70, per poi assumere drasticamente i connotati di un film di fantascienza, suscitando uno stato di trance attraverso suoni coinvolgenti, effetti visivi e luci stroboscopiche. Shaw in questo lavoro impiega vari riti catartici, compresa la danza moderna “Kundalini” e l’ “headbanging” ( che consiste in violenti movimenti della testa a tempo di musica, n.d.r. ). Ho trovato quest’opera ipnotizzante e non sono riuscito più a togliermela dalla testa».

Altrettanto diretta è larisposta di Jean-Paul Engelen, vicepresidente e co-direttore del dipartimento d’arte del XX secolo e contemporanea della casa d’aste Philips. La sua attenzione è stata letteralmente calamitata dal lavoro di Antony Gormley dal titolo European Field, l’istallazione alla Hall Art Foundation a Dernerburg, in Germania, con le sue trentacinquemila figure d’argilla dallo sguardo fisso rivolto allo spettatore. Che rimandano subito la nostra mente all’ondata di profughi in atto e all’indifferenza dell’Occidente di fronte a questo dramma umanitario.

Cecilia Alemanicuratrice del Padiglione Italia alla Biennale Arte di quest’anno, ha invece apprezzato particolarmente il lavoro di Nicole Eisenman intitolato Sketch for a Fountain allo Skulptur Projekte Münster. Si tratta di un’opera che indaga la tradizione delle fontane classiche nei giardini europei, ma in chiave contemporanea. Al posto di ninfe sensuali e putti paffuti, appaiono infatti cinque ragazzi di oggi intenti a oziare. E c’è anche chi tracanna una birra. Insomma, una versione 2.0 di Le Déjeuner sur l’herbe!

Se, poi, Casey Fremont, direttrice esecutiva dell’ Art Production Fund, ha affermato di aver apprezzato, sopra ogni altra opera, The Floaters, il murales di Henry Taylor sulla High Line di New York (West 22nd Street) che invoglia a tuffarcisi dentro, Manuel Borja-Villel, direttore del Reina Sofía di Madrid, si è soffermato invece sia sul lavoro di Angela Melitopoulos per Documenta, siasul Padiglione dell’Antigua e Barduda alla Biennale di Venezia, del quale pochi hanno parlato, che ha presentato il fantastico lavoro di Frank Walter, un outsider del sistema artistico. Ma Borja-Villel non ha trascurato neppure Münster, dove è stato affascinato dal lavoro di Pierre Huyghe, un ecosistema nel quale convivono scienza, arte, paesaggio e filosofia.

La scelta di Melissa Chiu, direttrice del Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, complice anche il suo soggiorno estivo a Tokyo, predilige Jungle. Si tratta della performance interattiva del teamLab, con musica e luci che interagiscono con i movimenti dei visitatori, realizzata presso il Shibuya Hikarie, il grattacielo multifunzione nella capitale giapponese.

Dal canto suo Naima J.Keith, vice-direttrice del dipartimento mostre del California African American Museum, non ha dubbi: uno dei più potenti e toccanti lavori che abbia mai visto quest’estate appartiene a Benny Andrews dal titolo Did the Bear Sit Under a Tree?, esposto attualmente alla Tate Modern di Londra nella mostra Soul of a Nation: Art in the Age of Black Power. Le stelle e le strisce della bandiera americana arrotolate su sé stesse rivelano un uomo afro-americano frustrato, che agita con rabbia i suoi pugni chiusi contro la bandiera e, allo stesso tempo, contro l’osservatore. La sua bocca ha la forma di una chiusura lampo.

Mentre poi Michael Xufu Huang, fondatore di M WOODS, un museo indipendente e no-profit per l’arte contemporanea a Beijing, in Cina, preferisce nettamente le sculture di Jeppe Hein alla Zabludowicz Collection, immerse nella lussureggiante natura di Sarvisalo (Finlandia), Maitreyi Maheshwari,che della Zabludowicz Collection ne è direttrice della programmazione, non ha dubbi nell’indicare l’impressionante performance di Maria Hassabi, dal titolo Staged?. Non solo la migliore opera d’arte della stagione, a giudizio della Maheshwari, ma tra le performances più fisicamente estenuanti alle quali lei abbia mai assistito, rappresentata al Centro Culturale Onassis di Atene, negli stessi giorni dell’inaugurazione di Documenta 14. (Gaia Tirone)

Fonte: news.artnet.com

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