06 settembre 2017

OGR, la rivelazione

 
Intervista al direttore artistico Nicola Ricciardi, nel giorno in cui si svelano (ufficiosamente) le Officine Grandi Riparazioni di Torino, e la loro nuova vita per l'arte

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L’impresa per “salvare” le OGR è iniziata mille giorni fa. Mille giorni per ridare a Torino le officine per la riparazione dei treni mutate in edificio per la (ri)generazione di idee. L’impressione, oltre tutti i discorsi da conferenza, dal “volano per l’economia”, alle decine di milioni di stipendi pagati, al lavoro di squadra, è di essere di fronte ad un’operazione senza precedenti. Oggi, 6 settembre, le OGR si presentano ufficiosamente alla stampa, con gli spazi liberi e sgombri da tutto quello che inizierà ad accadere il prossimo 30 settembre, data iniziale delle due settimane di “Big Bang” e di concerti, spettacoli e arti performative in genere. 
20mila metri quadrati di pavimenti, 60 chilometri di tubi, e una progettazione integrata. Nella “sala del duomo” si mostrano forse non solo tutte la best practices del restauro, ma anche quello che é il cuore-simbolo di questo luogo, progetto senza precedenti nella storia della Fondazione CRT: una curiosità: il dripping alle pareti non è solo un avanzo storico delle riverniciature delle locomotive, ma anche il resto di un rave party degli anni ’90. Per vedere completata la manica sud bisognerà attendere il 2018, come da progetto. Per ora la parola a Ricciardi, in una lunga intervista, in un giorno un po’ speciale. 
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OGR, foto di Daniele Ratti
Partiamo dalla domanda più semplice e spinosa. Cosa saranno le Officine Grandi Riparazioni nella vita culturale di Torino? Dovranno avere un ruolo molto specifico per evitare di replicare istituzioni già esistenti, così come di cannibalizzarle…
«Questa è la stata la prima questione a cui abbiamo dovuto pensare: all’inizio l’idea era soltanto quella di ripristinare due maniche, e portare qui solo start-up. Poi è arrivata la volontà di lavorare in sinergia con le istituzioni di Torino e Piemonte, non per cannibalizzarle ma perché secondo l’idea di Fondazione CRT, le OGR devono “concettualmente” essere uno spazio a servizio della città. Abbiamo quindi parlato con tutti direttori di musei e fondazioni pubbliche e private, teatri, con Sergio Ricciardone di C2C e con Flower Festival, solo per dirne alcune. Le OGR sono una tela bianca su cui si dipingerà insieme, intercettando pubblici già presenti in città che – all’interno delle OGR – potranno espandersi usando i nostri spazi».
Ci fai un esempio? 
«L’esempio calzante è il rapporto con il TPE, una delle istituzioni più sperimentali per quanto riguarda il teatro a Torino: OGR ha una dimensione che permette di mettere a sedere fino a 1100 persone, mentre negli spazi del TPE stanno un massimo di 300 spettatori. Se il TPE cura uno spettacolo da noi, e noi lo ospitiamo, ecco che si può allargare la forbice di pubblico. Stesso discorso è stato fatto anche alle istituzioni museali, vedi la prima mostra che aprirà in occasione di Artissima, “Come la falena alla fiamma”, con l’invito a Torino dei tre curatori internazionali, per fargli scoprire la città e creando connessioni».
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OGR, foto di Daniele Ratti
Quindi una sorta di catalizzatore?
«Sì, con molti progetti costruiti internazionalmente da OGR-CRT, la società consortile costituita al 60 per cento proprio da Fondazione CRT. Da qui al 2019 sicuramente ogni mostra, e ogni iniziativa, avrà uno “spin off” legato a un’istituzione del territorio, sia nel caso del tutto prodotto da noi, sia  di una proposta esterna che scegliamo di accogliere».
Torniamo al tema dei pubblici “allargati”.
«Il tema dei pubblici per noi è estremamente importante: se noi diamo più posti a sedere restituiamo alle istituzioni una voce “maggiore”. Le OGR sono un luogo nuovo ma molto atteso. Avremo probabilmente sia un parterre nuovo, sia di rimando, già “utente” di altri luoghi culturali della città. Il nostro obiettivo, anche, è quello di raccogliere pubblici inespressi e marginalizzati».
Tipo? 
«Quei pubblici che “frequentano” la cultura sporadicamente, o quelli che andrebbero a teatro o alle mostre, ma non ne hanno occasioni: colpa di mancata integrazione, motivi economici, disabilità. La volontà di andare incontro a questa utenza già dall’inizio del nostro corso si è palesata con il coinvolgimento di casa OZ, realtà che si occupa di bambini in situazioni problematiche. Cercheremo insomma di portare qui tutte quelle persone che, anche per impedimenti di natura fisica, non riescono normalmente a partecipare a programmi culturali».
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OGR, foto di Daniele Ratti
Sempre a proposito di cannibalizzare, non si potrebbe dire che state sfruttando gli altrui pubblici o l’obiettivo della restituzione pone su un’altra prospettiva il progetto OGR?
«Il nostro obiettivo è restituire. Prendiamo Rivoli per esempio, un museo che soffre di isolamento geografico. Ecco perché abbiamo pensato di fare una mostra iniziale che sia una finestra su quello che accade al Castello: in questo caso vogliamo far vedere al “pubblico naturale” di OGR quello che forse non sanno esistere a mezz’ora di auto da Torino».
Torniamo all’idea di OGR come incubatore
«Catalizzare, rigenerare, ridistribuire pubblico a quelle istituzioni che gentilmente si sono offerte di lavorare con noi, per iniziare. L’altro vantaggio che paradossalmente offriamo è il piano internazionale: molto spesso Torino non comunica le sue eccellenze, a volte addirittura è una città poco conosciuta dagli stessi cittadini…pensa a Palazzo Madama, il V&A Museum di Torino. Stiamo intessendo molte relazioni internazionali anche per poter aprire nuove strade per far conoscere le ricchezze sabaude e far lavorare le nostre istituzioni all’estero».
La programmazione alle OGR invece è fissata fino al 2019?
«Si, con le mostre Mike Nelson, Susan Hiller, Tino Sehgal, i progetti con Castello di Rivoli e ripensando un po’ il concetto di mostre collettive, anche tornando al discorso dei pubblici differenziati che vogliamo coinvolgere».
Un po’ di numeri
«Investimento di ristrutturazione dell’area complessiva: 90 milioni distribuiti in 4 anni di lavoro».
E i costi di gestione annua per le attività? 
«Lo faremo ufficialmente sapere chiuso il primo anno di attività, anche se a regime – in fatto di conti – si entrerà nel 2019».
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OGR, foto di Daniele Ratti
Malignamente qualcuno potrebbe pensare che dopo questa fase di “start” le OGR torneranno un contenitore vuoto…
«Stiamo facendo il modo che questo non accada, e per i prossimi tre anni possiamo assicurare che sarà “pieno”. Contiamo di fare un grande evento circa una volta alla settimana. Ci saranno periodi più o meno ricchi, ma il trend sarà questo».
Mi dicevi che Torino sta rispondendo bene…
«Sì, c’è molta attesa. C’è molta gente che vede l’arrivo delle OGR con ottimismo, qualcuno con paura per il fatto della cannibalizzazione, ma è un progetto in cui crediamo. Anche se siamo realtà 100 per cento privata vogliamo parlare a tutti, dal pubblico ai privati alle associazioni di quartiere. Presentare le Officine come un’astronave calata dall’alto sarebbe stato molto naïf e molto poco producente».
Hai dovuto lavorare in fretta: un anno è pochissimo per preparare tutta questa roba…
«Confermo, anche se ho avuto la fortuna di aver avuto grandi personalità al fianco, come il Direttore Massimo Lapucci. I risultati si vedranno tra qualche anno, ma abbiamo anche la possibilità di pianificare molto avanti nel tempo».
Gli enti pubblici: regione, provincia, città. C’è un dialogo aperto?
«C’è un dialogo aperto, sì. Secondo l’amministrazione non possiamo dimenticarci del tessuto cittadino, appunto. OGR deve mantenere attivo quel punto arrivato al culmine con le Olimpiadi 2006 e che oggi forse è un po’ in fase discensionale, anche se si è ben lontani dal dire che Torino sia in crisi. Certo il periodo non è facile, ma si sta lavorando tutti per far si che quella magia che è stata rinvigorita dieci anni fa risalga, in una sorta di circolarità».
Pensi che il pubblico milanese potrà rispondere anche alle sollecitazioni di Torino?
«Per noi Milano è fondamentale, ed è nei nostri piani. FS porterà i collegamenti TAV To-Mi a 35 minuti e i milanesi, che vivono di curiosità perenne, forse saranno stimolati all’idea di avere tante “cose” a pochi minuti dalla stazione Centrale o Garibaldi, così come per i turisti che passano da Milano per fare una “gita fuori porta”. Ecco perché per noi è importante essere anche un “grande canale di narrazione” di quello che succede nelle altre realtà cittadine: le OGR come una finestra su Torino».
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OGR, foto di Daniele Ratti
Club 2 Club sarà una delle realtà ospiti fisse di OGR? 
«Guido Ricciardone, direttore artistico di C2C ha portato talmente tante idee e iniziative che gli abbiamo chiesto di collaborare al “Big Bang” delle prossime settimane. Grazie al Whitney Museum c’è stata invece la produzione dell’album di Kamasi Washington che suonerà qui, mentre con Dj Powell arriveranno i visual di Wolgang Tillmans: sinergia tra visivo e performativo e mischiare le carte. C2C in questo è partner fondamentale».
Quindi anche per il 2018 e 19 ci aspettiamo il Festival a Porta Susa?
«Intanto portiamo a casa l’edizione 2017, poi tutto lascia ben sperare…».
Vuoi dirmi quello che non ti ho chiesto?
«Per me è importante marcare il ruolo di Fondazione CRT. Massimo Lapucci è stato fondamentale: ha dato una ventata di freschezza alla fondazione e si deve a lui un cambio di visione, lo sguardo all’estero, ed è con lui che si è arrivati al programma BEST, che manda giovani a imparare nella Silicon Walley, con l’obbligo poi di rientrare a Torino a lavorare».
Tutte le attività di OGR si svolgeranno dentro il complesso OGR?
«Non è detto, quello che si svolgeva sul territorio continuerà a essere prodotto e diffuso dove è la sua funzione. Quello che però vogliamo promuovere qui è un’esperienza sempre diversa: questo è il nostro messaggio. Non siamo un museo, ma una strana cosa al confine tra arti visive e altre discipline più mobili: vogliamo far passare questa identità ibrida, ecco perché la mostra di Tino Seghal, per iniziare».
Matteo Bergamini

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