09 settembre 2017

Contemporary Albania

 
Intervista a Gaetano Centrone, curatore del Premio Onufri, a Tirana. Tra riscoperte e attenzione per un contemporaneo che, dall'altra parte dell'Adriatico, si sente fortissimo

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Dalla fine della ditattura di Enver Hoxha e ancor più dalla fine del discusso governo di Sali Berisha, l’Albania ha percorso non poca strada. Già ai margini dell’impero comunista e oggi periferia dell’Occidente (solo nel 2014 ha potuto presentare lnella propria candidatura per l’ingresso nell’Unione Europea), non si é abbandonata alla condizione marginale, anzi ne ha valorizzato i postulati per farsi portavoce di interessanti proposte culturali. Non pochi sono oggi gli artisti assurti alla notorietà internazionale, da Adrian Paci al kosovaro di origine albanese Sislej Xhafa. Si inserisce in questo virtuoso contesto anche il prestigioso Premio Onufri, volto alla conoscenza e promozione dell’arte contemporanea, giunto alla ventitresima edizione. Intitolato al grande pittore albanese del XVI secolo, noto per aver infuso maggiore naturalezza alle figure, eludendo i rigidi e plurisecolari dettami della tradizione bizantina, il Premio, che si svolgerà a dicembre negli spazi della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Tirana, vede quest’anno al timone il curatore pugliese Gaetano Centrone. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare in anteprima i suoi progetti.   
Il prossimo Premio Onufri ti vedrà alla direzione. Quale pensi debbano essere il profilo e la funzione del curatore oggi?
«Domanda difficile. Il confine tra esprimere una posizione scomoda ma intelligente e dare giudizi tranchant è davvero sottile. Sul profilo magari si può trovare una convergenza: serietà di studi e di intenzioni, conoscenza seria e approfondita dei linguaggi autenticamente attuali, indipendenza dal circo e dalle gallerie. Ecco, magari la questione dell’indipendenza è probabilmente uno dei nervi scoperti: creato un fenomeno è davvero difficile che resti senza padroni. Per quel che riguarda la funzione invece, la discussione potrebbe essere ampia: stiamo assistendo anche alla diffusione di una tendenza che vede artisti importanti chiamati a curare mostre. Non è necessariamente un male, anzi a volte danno prove davvero convincenti. Una volta ho ideato e organizzato un workshop “Come si fa una mostra” a Molfetta, nella mia città. Tra gli insegnanti ho invitato Marco Meneguzzo, critico serio e persona amabilissima. Gli studenti erano rapiti dalle sue lezioni, e mi ricordo che uno dei punti di discussione più interessanti fu la domanda: “Quando è avvenuta la staffetta tra il critico-storico dell’arte-uomo di studi impolverato e il curatore di tendenza con il mojito in mano”? Ecco, credo che l’origine di tutti i mali risieda lì».

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Gaetano Centrone con Fabrizio Plessi
L’Albania ha compiuto passi importanti negli ultimi anni nel settore delle arti contemporanee. Molti sono gli artisti di origine albanese che hanno raggiunto la fama internazionale e diversi sono gli spazi dedicati all’arte che là stanno nascendo. Qual è il tuo punto di vista a riguardo?
«L’Albania contemporanea è un Paese straordinario. Sono innumerevoli gli italiani che lì si dirigono a vario titolo: studio, lavoro, vacanza. Io le prime volte ci sono andato per la curiosità di imparare, andando a conoscere gli artisti e i protagonisti dell’arte. Tirana è un’esplosione di vitalità, ed essendo io vitalista mi son trovato molto bene, e credo che attualmente si respiri aria di democrazia nella sua accezione migliore. Certo, conoscevo già il lavoro di Anri Sala, che avevo visto in un‘indimenticabile personale alla Serpentine Gallery di Londra; l’opera artistica e politica di Edi Rama, che aveva ispirato il video Dammi i colori di Sala; e conoscevo ovviamente Adrian Paci e i principali artisti albanesi famosi all’estero. Lì ho incontrato giovani come Genti Korini, già protagonista dell’edizione 2012 dell’Onufri; e ho visitato la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, prima e dopo la svolta. Da luogo tetro e impolverato, con la vecchia direzione, e oggi con Artan Shabani, che è persona dalla cultura raffinata e globetrotter dell’arte. Ecco, lui ha catapultato quel luogo nel presente, dandogli respiro internazionale».
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Adrian Paci Centro di permanenza temporanea 2007 still da video 5’30’’ Courtesey kaufmann repetto, Milano e Galerie Peter Kilchmann, Zurigo
Quali aspetti delle passate edizioni del Premio Onufri pensi di recuperare e quali invece cambiare?
«Innanzitutto mi piacerebbe fare un lavoro di memoria storica, magari raccogliendo il materiale delle passate edizioni, che non è di facile reperimento. La stampa internazionale per esempio si è interessata alla manifestazione con alterne fortune. A questo hanno ovviamente contribuito i direttori che si sono succeduti nel tempo, e in seconda istanza i curatori. La mia idea di base è quella che metto sempre in atto nelle mostre che curo: concentrarsi su pochi nomi, sull’idea di eterno che si può trovare nelle manifestazioni dell’oggi; predilezione sulla qualità piuttosto che sulla quantità. Nessun carrozzone con tanti nomi che messi insieme non significano nulla, se non una sensazione di provvisorietà spiazzante, così come i titoli che si danno alle biennali e in cui ci puoi infilare di tutto di più. In tal senso è illuminante la lettura di un piccolo saggio di Mario Perniola, del 2015: L’arte espansa. L’autore si sofferma proprio su questo, sul grande circo dell’arte, sui curatori e sulla Biennale di Venezia del 2013, che comprende non più artisti, ma 158 “articoli” in esposizione. Ecco, Perniola descrive e interpreta soavemente lo sfacelo in atto. Evitare o ritardare o negare (nel migliore dei casi) tale sfacelo è il mio, e il nostro, compito di curatori. Per parlare dell’esposizione in senso stretto invece, vedrete pochi nomi, possibilmente una sala per artista, tutti nel pieno della carriera, non giovanissimi e né mostri sacri che non hanno alcun bisogno di ulteriori consacrazioni. Ci saranno donne sicuramente, la decostruzione dell’uomo bianco parte anche di lì».
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Gaetano Centrone con Luigi Mainolfi
Nel tuo lavoro hai sempre avuto una condotta di cauto contemporaneismo, coniugando attenzione alle sperimentazioni odierne e studio dei maestri e della tradizione. Da dove trae origine questa tua condotta curatoriale?
«Ti ringrazio per la tua definizione, che suona originale, ma non so se la utilizzerei per descrivere il mio lavoro. Io lo chiamerei piuttosto sincero contemporaneismo. Diciamo che fondamentalmente mi occupo di tutto quello che è accaduto dagli anni Sessanta ad oggi, mi piace dialogare e dunque costruire le mostre insieme agli artisti, portarli sul sito e creare l’evento artistico insieme a loro. Mi piace anche molto l’idea di essere vicino ai giovani. La vicinanza con loro mi è data anche dall’insegnamento nelle accademie, che ritengo un’esperienza fondamentale. La mia curiosità è onnivora, e difatti si estende a tutte le arti e alla letteratura, ma ho deciso di lavorare solo nel campo delle arti visive. L’astrazione, le pratiche performative, la scultura, la new media art sono tutte aree di mio interesse, ma ho a cuore anche gli artisti di figura che popolavano la mia città, che nel mare e nell’arte ha sempre tratto spinta e linfa vitale».
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Sislej Xhafa , Rocket Ship 2011 wheelbarrow, blue light strings 60 x 150 x 65 cm Courtesy GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Beijing / Le Moulin Ph. Oak Taylor-Smith
Per la nomina a curatore del premio Onufri hai partecipato ad una call internazionale. Quale aspetto della tua professionalità pensi abbia influito maggiormente sulla tua nomina?
«Forse questa domanda andrebbe rivolta più che altro alla commissione. Non mi viene altro in mente se non il dialogo di apertura del film Santa Maradona, con il protagonista che risponde, a qualunque domanda gli venga rivolta in un colloquio di lavoro, sempre con la stessa parola: “La sincerità”».
Tra gli artisti invitati alla passata edizione del premio vi è Sislej Xhafa, artista kosovaro di origine albanese. Nella tua edizione ci sarà posto per un big di origine albanese dell’arte contemporanea?
«Non è escluso, dipende da una serie di considerazioni. Ma probabilmente, e questo posso anticiparlo, allestiremo una sala speciale, per un artista albanese sfuggito ai radar del sistema. Un omaggio a un artista borderline. Bisogna riportare ogni tanto un po’ di giustizia alle vicende dell’uomo».
Carmelo Cipriani

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