11 settembre 2017

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Incontro tra Minimalismo occidentale e identità d'Oriente: l'esempio dell'artista sudcoreana Soonja Han, in un prezioso catalogo
di Ernesto Jannini

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“Il Destino incantato” è il testo che il critico Soojung Hyun dedica all’artista sud coreana Soonja Han la cui recente opera è stata esposta a Firenze presso la Galleria Il Ponte.
Il catalogo della mostra rientra nella prestigiosa collana degli Ori di Pistoia ed offre una chiara visione delle ultime opere dell’artista.
Formatasi alla Hongik University negli anni ’70 e poi approdata in Europa nel 1983, Soonja Han inizia una serie di significative esposizioni a partire dalla sua prima personale alla Jean-Claude Richard Gallery e alla Leila Mordoch Gallery di Parigi, da Czecho a Praga, alla Municipal Gallery in Ungheria e Mathieu Gallery di Lione. 
Attratta da Brancusi, poi da Aurélie Nemours e François Morellet la Han sembra compiere, nel suo percorso di crescita culturale ed artistica quel viaggio, di reciproca attrazione, che ha sempre interessato l’oriente e l’occidente. Questa “attrazione fatale” ha prodotto nei secoli le più svariate forme d’arte e di musica; tuttora continua a svolgere una funzione di primaria importanza all’interno della cultura globalizzata. Resta il fatto, però, che gli scambi e le contaminazioni non possono annullare le matrici originarie. I due poli devono fondersi e produrre una sintesi nuova ed originale. Si pensi ad esempio all’influenza del giapponismo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento; alla Via dello Zen, alle scuole di pittura orientale correlate allo sviluppo di un certo informale segnico; oppure agli influssi dei koan su certa Arte Concettuale o alle poetiche del silenzio di Jhon Cage, ecc. 
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Soonja Han, Italia, 2017, serigrafia su alluminio lucidato a specchi
Nell’opera di Soonja Han pare che questa tensione ad accogliere il diverso (l’Occidente) e nel contempo a conservare la propria originaria identità, si sia pienamente realizzata. Il viaggio ad ovest (come per noi occidentali il viaggio in Oriente) rimane emblematico e deve “obbligatoriamente” compiersi per poter arrivare – come sostiene Soojung Hyun – a quella sintesi che porta all’unificazione della visione. Non a caso lo stesso Hyun, analizzando l’opera Firenze 2000-2017 fa riferimento all’espressionismo astratto di Barnett Newmann (che ha spianato il terreno al Minimalismo) in particolare all’azione visiva che svolgono i suoi tipici “zip”, le strisce colorate che percorrono le grandi campiture dei suoi dipinti. Se alla base del lavoro della Han si scorge chiaramente la matrice minimalista l’idea di fondo rimane quella del cerchio, variato nelle modalità di pieno e vuoto, emblematiche della tradizione filosofica asiatica.
In opere come Continue forever 2012, Blue flower 2015, Purple universe 2017, Smelling pink flower 2017, Indigo blue universe 2017 il cerchio, assunto come modulo di base, da origine ad una complessità che allude alla morfogenesi di possibili entità vegetali. E dunque questa forma perfetta, si presta, al pari delle componenti molecolari della materia, a strutturazioni formali più complesse, dando vita ad altri possibili universi, in cui l’equilibrio visivo la fa da padrone e il vuoto ed il pieno, perfettamente calibrati, richiamano il cantico delle forze yin e yang.
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Soonja Han, Purple Universe,2017, acrilico su tela
Come scrive Soojung Hyun il lavoro della Han “Non dovrebbe essere confinato o limitato a uno dei due emisferi; si muove piuttosto tra la sua sensibilità Orientale e il suo adattamento alla cultura Occidentale”. Laddove per “adattamento” bisogna intendere l’apertura alla forza dell’emozione. Se i padri del Minimalismo tendevano, da occidentali, a conquistare il distacco dalla propria soggettività (tipico delle filosofie orientali) rifiutando la grammatica interna all’opera, le relazioni interne, a favore di una apertura verso il contesto e l’ambiente, la Han che ha assimilato le tensioni di questo emisfero, introduce nella sua opera i gradienti emozionali. Distacco concettuale ed emozioni visive e cromatiche si compenetrano creando immagini d’immediata semplicità. Green City, Purple Universe, Blue Indigo Universe (tutti del 2017) sono opere che evocano le danze cosmiche della materia nelle prime fasi di gestazione delle forme, nonché alla limpidezza del processo creativo. Il cerchio, come quello di luce proiettata dall’oculo del Pantheon sul pavimento diventa per Soonja Han lo spunto per la realizzazione di un’opera, Firenze 2017 appunto, in cui la coscienza estetica trova la via in cui felicemente incanalarsi. Aperta alle suggestioni e agli stimoli dell’ambiente la Han, già oltre il Postmodernismo, non rinuncia alle altre dimensioni dello spirito. Il paradigma del Minimalismo, pur rimanendo un punto di riferimento, viene superato per assimilazione, costretto a piegarsi alle calde temperature del principio di unificazione spirituale.
Soojung Hyun scrive in catalogo che in una opera come Blue flowers 2015 la Han “…Combina sia la struttura piana che la dimensionalità, funzionando come una sorta di dipinto scultoreo, ma non è né scultura né dipinto: Han è interessata a tradurre gli effetti della luce. Attraverso l’uso dell’Altuglas (polimetilmetacrilato), l’opera rivela una brillantezza di colore combinata con un’unicità di trama e una delicatezza, che racchiude un’architettonica solidità. I suoi materiali suggeriscono qualcosa in più della pittura:appaiono perdere peso”. Come dire che la luce, sia fisica che spirituale, nella sua inafferrabile corporeità, la si può esprimere anche con le resine metacriliche dei nostri tempi. 
Ernesto Jannini
SOONJA HAN
Testo critico di Soojung Hyun
Edizioni GLI ORI DI PISTOIA, 2017
Italiano, inglese, francese
ISBN 978-88-7336-662-1
Euro 20

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