12 settembre 2017

Un’enciclopedia visionaria del suono. Alessandro Zannier ci racconta Micromega

 

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Tre domande ad Alessandro Zannier, artista, musicista e performer che ha dato vita al progetto Micromega, un portale interattivo ricco di inediti contenuti audio, testuali e visivi collegato a un concept album. Un progetto che ha trovato collaboratori e ospiti come Flavio Ferri (Delta V), Luca Urbani, Madaski (Africa Unite), Lele Battista, Gigi Masin e Laura Bisceglia (Teho Teardo & Blixa Bargeld). In attesa dell’esibizione di Zannier con l’Ottodix Ensemble, il 21 ottobre presso l’Anomalie Art Club di Berlino, città in cui Micromega ha già trovato ospitalità per il Coffi Festival, conosciamo meglio il progetto.
Quali sono i software che hanno dato corpo al progetto Micromega? Con cosa sono stati lavorati suoni e immagini? 
«Il sito è stato costruito con javascript e Three.js – non con software – mentre i suoni delle 117 tracce audio (che in realtà sono tutte versioni destrutturate delle 9 canzoni principali dell’album), le ho realizzate nel mio studio, per due terzi. Il terzo rimanente è stato realizzato dai singoli ospiti. Per quanto riguarda il mio lavoro sui sotto-livelli audio, in linea di massima ho lavorato di concetto. Essendo Micromega un’indagine sugli ordini di grandezza della materia e sui rapporti tra sotto insiemi e macro insiemi, ho rallentato e dilatato a dismisura alcuni moduli dei brani originali, per indagare tra le maglie del suono, di un singolo loop o di una strofa. Per la parte visiva ho lavorato col programmatore Pierfrancesco Soffritti sui soggetti 3D e sull’impianto complessivo del sito e con Anna Magni sulla grafica e sulla fruibilità dell’esperienza interattiva di navigazione. Le 108 illustrazioni che ho realizzato per ogni soggetto enciclopedico sono state dipinte o disegnate su carta, scansionate e ingigantite, editate e arricchite in digitale, con un procedimento concettuale simile a quello dell’audio. Tali opere, insieme a 9 installazioni, andranno a formare la mostra che affiancherà i concerti dal 2018». 
Quanto pesa nel mondo dell’arte una descrizione accattivante del proprio lavoro? Il successo di un progetto del genere quanto è condizionato dal saperlo “vendere” a un certo tipo di pubblico con termini del tipo “enciclopedia visionaria”? 
«Nell’era attuale della comunicazione, la descrizione “fast” ed efficace ha sicuramente il suo grande peso ma evito di assecondare questo tipo di logiche. Davanti a un progetto come questo, la mia indole a stratificare idee e progetti anche pieni di contraddizioni va in netta antitesi con il trend comunicativo attuale. È proprio e anzi la mia scommessa artistica e cifra stilistica, l’anti minimalismo. Sono fermamente convinto che si debba tornare ad occuparsi di complessità a tutto tondo, di lettura multipla, di creare opere resistenti al tempo, non vittime di un impatto diretto, asettico, che si risolva nella sua compiutezza formale. Si è alle prese con un mondo sempre più complesso da decifrare che tuttavia corre veloce e superficiale, nel quale è sempre più arduo fermarsi ad approfondire perché si è persa l’abitudine alla complessità. È difficile spiegare questo progetto in poche parole ma mi fa piacere sentire che almeno “enciclopedia visionaria” sia un appiglio utile per avvicinarvisi e per chiarire che il mio approccio è da artista, non da tecnico con la scienza». 
Hai avuto modo di osservare più volte il panorama artistico all’estero. Al di là del fatto che in contesti come la Germania sembra esserci materialmente più spazio per fare sì che ognuno abbia il proprio per esprimersi, il gusto estetico che si trova in contesti esteri è davvero più all’avanguardia di quello dei contesti italiani? Ci sono differenze evidenti anche nei riscontri del pubblico? 
«In realtà credo che parlare di avanguardia sia un tema obsoleto. Gli unici due binari in cui si può incrociare una forma di avanguardia sono quello concettuale (le nuove tematiche indagate) e quello dell’innovazione tecnologica (i nuovi mezzi che la ricerca mette a disposizione dell’arte, di fatto subordinandola all’attesa di un nuovo mezzo). All’estero si trova davvero di tutto: in Cina, il controllo del governo e la censura su determinate tematiche impediscono lo sviluppo di percorsi più crudi e diretti, privilegiando un’estetica accattivante, se pur grottesca e piena di simbologie occulte, oppure un’astrazione dall’eleganza quasi calligrafica, mutuata dalla tradizione; in Germania noto un mix di razionalismo rigoroso e un antico gusto espressionista che sopravvivono ancora. Insomma, ogni Paese ha una sua cifra stilistica che sopravvive o si evolve. Micromega Project è stato realizzato partendo da un’idea, con budget raccolti, con una tecnologia relativamente a basso contenuto di innovazione, privilegiando il concetto “neo illuminista” di enciclopedia e di illustrazione manuale nel digitale, tentando un superamento sia del minimalismo estetico che della dipendenza dall’innovazione tecnologica. Una sorta di linguaggio terzo, una sintesi tra tradizione e innovazione frenetica, sulla quale scommetto e spero si punterà entro pochi anni». (Ambra Benvenuto)

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