29 settembre 2017

Hugh Hefner come l’avete sempre visto, nelle opere di Andy Warhol, Sigmar Polke e Salvador Dalì

 

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La vestaglia di luccicante seta rossa, qualche volta con risvolti neri, il sorriso a labbra serrate, poco più di una disgraziata serratura da decifrare, su un volto invece ampio e, con il passare degli anni, solcato da rughe molto espressive. Controverso come solo un’icona può essere, tra erotismo da superficie patinata, controcultura di stile, gonzo journalism, machismo da villa con piscina, sfruttatore e galantuomo, fallocrate e benefattore, Hugh Marston “Hef” Hefner sarà sepolto accanto alla tomba di Marilyn Monroe, al West Memorial Park di Los Angeles. Come fossero Adamo ed Eva e questa è l’America e noi europei non possiamo farci nulla, non capiremo mai abbastanza quell’ansia da autorappresentazione, così trasversale e omogenea. 
Nella vecchia Europa, un po’ invidiosi della loro capacità di sentirsi grandi quanto un intero Continente e un po’ gelosi delle nostre radici, della nostra intricata eredità, la chiameremo psicosi collettiva, questa capacità di raccontare, sempre e comunque, gli U.S.A., perché al di là delle storie delle singole persone e dei movimenti sociali di qualunque grado, ordine e disciplina, ci si riunisce sotto lo stesso cielo di stelle e strisce. Vediamo l’impeccabile foggia del doppiopetto FBI in tutti gli episodi di X Files, la goccia Ray Ban sulla fronte spianata dei piloti Air Force e tra i capelli selvaggi di Jim Morrison, i neon sui cappelli da cowboy, gli indiani nei casinò. E c’è una sincera bravura nel riuscire a impaginare le fotografie di Martin Luther King, Fidel Castro, Pamela Anderson e Cindy Crawford, tra gli articoli di Margaret Atwood e Hunter Stockton Thompson, solo su questo numero di Playboy. Che stupore. Sì, ancora oggi in America è tutto possibile, almeno così ci dicono e non possiamo che credergli. 
E quindi, Artnet, il colosso dell’informazione dell’arte contemporanea New York oriented – ma la società ha origini franco tedesche – ci racconta Hugh Hefner attraverso il linguaggio che padroneggia alla perfezione, un personaggio ritratto dagli artisti più influenti degli ultimi sessanta anni e, così, diventato immagine di un modo di essere essenzialmente americano. Marisol Escobart lo scolpì in legno, con ben due pipe e con un mocassino originale. Andy Warhol, affezionato lettore e contributor della rivista, disegnò la copertina di Playboy Magazine nel 1986, per il trentacinquesimo anniversario. E ovviamente anche la Pop Art made in Europe rese omaggio alle sue leggiadre conigliette, con Sigmar Polke e Richard Hamilton. Possiamo aggiungere il coniglio di Jeff Koons, i collage di Salvador Dalì per il numero di dicembre 1974, le fotografie di Herb Ritts ed Helmut Newton. (MFS)
In home: Sigmar Polke, Bunnies, 1966, Hirshhorn Museum, Washington D.C.
In alto: Elsa Peretti fotografata da Helmut Newton, New York, 1975

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