30 settembre 2017

La rinascita dei simboli. A Cortona, lo swastika beneaugurante di Filippo di Sambuy

 

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Lo spazio, raccolto e inclinato a valle, tra il Duomo di Cortona e il Museo Diocesano, sembra fatto apposta per l’ordito dell’inedito tappeto di Filippo di Sambuy che, con ciottoli di graniglia ocra, bianchi e neri, rappresenta uno swastika, termine originariamente maschile, perché riferito al simbolismo solare. Nelle sue volute, le spinte della vallata, aperta e circondata da colline, vengono raccolte in profondità e sembrano affondare a mano a mano, giro dopo giro, per poi espandersi nuovamente intorno, proprio come seguendo la rotazione solare che, da millenni, esso rappresenta come simbolo e icona e di cui si può apprezzare non solo il turbine scintillante, che acceca e stordisce, ma il corpo soffice di una materia erratica e molecolare, divenuta tangibile sotto i nostri occhi, come terra o neve, mentre accompagna i passi che compiamo per seguirne il parallelo fluire. 
Un gorgo che lentamente assorbe i movimenti del cosmo dentro una spirale infinita e pare misurarne il tempo in granelli di marmo, come dentro una inedita clessidra, per poi annullarlo in una ciclicità perenne. Dall’alba al tramonto, l’opera posa, infatti, sulla piccola terrazza sospesa che affaccia sul cimitero Monumentale di Cortona ma sembra fatta proprio per negare il destino a cui fatalmente corre l’uomo in un tragitto obbligato, anche nell’infinito prospettico adombrato dalla figura del Cristo inchiodato ai quattro bracci della croce: l’uomo, ovvero la vita e il tempo, trafitto sui quattro assi cardinali che rappresentano lo spazio. 
‹‹Un simbolo come lo swastika, rappresenta il reale che vive dietro le sue rappresentazioni. Dietro la forma si trova un principio universale creatore, per quanto invisibile sensorialmente. Così una realtà trascendente, fortemente positiva può manifestarsi mediante un semplice simbolo che tutti conoscono››. In questa riflessione di Filippo di Sambuy c’è l’eco delle parole di René Guenon, massimo tra i conoscitori della scienza sacra dei simboli, quando afferma che ‹‹Lo swastika non è un simbolo del mondo, bensì dell’azione del principio nei confronti di questo››. 
Forse direttamente ricollegabile alla tradizione primordiale, lo swastika è tra i simboli arcaici più diffusi dall’estremo oriente all’estremo occidente che implichi “benessere” e nel suffisso -ka, forma il diminutivo di “piccola cosa”, che augura o porta fortuna. Una cerimonia di purificazione, secondo i dettami della visione orientale, è stata compiuta in India, a Benares, il 2 marzo 2017, in previsione della nuova esistenza artistica del simbolo disegnato dall’artista e del suo messaggio spirituale. E non si può che accogliere come più che propizia questa purificazione, dopo gli scempi a cui le note vicende del XX Secolo, hanno indebitamente collegato un simbolo, originariamente fausto, trasformandolo in emblema di sterminio, degenerazione e follia. Nel disorientamento causato da una globalizzazione mal interpretata e praticata, il nodo che stringe insieme la fine e l’inizio del nuovo millennio deve essere sciolto, prima o poi. E se si dovesse ricominciare soprattutto dai simboli? 
Non è solo Filippo di Sambuy in questa tendenza, che attiene da un lato al depotenziamento di simboli ultra noti e alla loro rotazione, come nell’opera emblematica di Miroslaw Balka, dall’altro alla creazione di nuovi simboli e segni, come nella ricerca di Michelangelo Pistoletto per il suo Terzo Paradiso. E nemmeno può essere taciuto il portato di un lavoro come quello di Vettor Pisani sul tema e il significato della Semi-Croce o Tau. Sono questi solo alcuni degli esempi che consentono un’interpretazione più ricca, mobile e in profondità del simbolo, senza inchiodarla a un dogma unidirezionato e inappellabile. 
E se ogni nascita comporta un capovolgimento che si compie al di qua o al di là della gravità e include il rovesciamento della lettura della realtà e delle cose, come del loro significato, allora è già nel riorientamento dei simboli verso la nascita che l’Occidente può dar forma, oggi, alla propria volontà di riscattarsi dalle catastrofi passate e presenti, gettando gli auspici e invocando a voce spiegata un altro futuro. Lo swastika altro non è, infatti, se non l’emblema di una croce orizzontale tracciata su un piano, che rappresenta uno stato, una condizione transitoria dell’esistenza, non un assoluto. Questa volta, l’installazione pavimentale di Filippo di Sambuy non coinvolge solo l’architettura ma l’esperienza della terra, con il proprio paesaggio naturale che è il confine e l’orizzonte abituale verso cui l’uomo, nella propria speranza, si è sempre rivolto. 
Va reso merito, dunque, a questa piccola, speciale, coraggiosa impresa, ideata con la determinante collaborazione di Andreina d’Agliano, presidente del Museo della Ceramica di Mondovì, insieme al Comune di Cortona che l’ha fortemente voluta, realizzandola grazie al fondamentale sostegno di Paola Butali, collezionista e ideatrice di Arte Cerreta e con il progetto curatoriale di Liletta Fornasari, che l’ha ineccepibilmente messa in dialogo con le opere del magnifico Museo Diocesano, dove splende tra tutti il nucleo del grande cortonese Luca Signorelli, con il Compianto sul Cristo Morto, l’Annunciazione e la Comunione degli Apostoli. (Giovanna Dalla Chiesa)

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