18 ottobre 2017

C’est la vie

 
Come sopravvivere alle fiere e al tour de force da art-addicted? Ci abbiamo provato alla FIAC, guardando il panorama in modalità trasversale

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I poveri giornalisti hanno accesso a FIAC alle tre del pomeriggio del giorno dell’opening. Già questa scelta fa riflettere “sull’importanza” della stampa rispetto al parterre di VIP e collezionisti che, invece, possono aggirarsi tra gli stand della fiera parigina dalle 11 del mattino. 
Ma anche noi abbiamo i nostri assi nella manica e così, diligentemente, facciamo parte della lunga coda di pubblico molto specializzato che arriva al Grand Palais sul far delle 10.30. 
Et voilà: stand già affollati, galleristi in fibrillazione e “thousand” che si sprecano di fronte alle opere. 
La qualità, infatti, appare subito decisamente alta. A pochi minuti dal nostro ingresso il primo incontro è con il collezionista italiano Mauro De Iorio, che ha appena terminato di fare la sua grande parte ad ArtVerona. La risposta al classico “Come ti sembra” è chiara e decisa: «Ci sono opere molto belle, ottime gallerie: una vera fiera internazionale, meglio di Frieze».
Parigi, insomma, sembra far colpo di nuovo nel tourbillon dell’offerta europea, e diciamo pure mondiale, visto che la fiera arriva a pochi giorni da Frieze London, dalla nostrana Verona, in anticipo di pochissimo ad Artissima, e con lo stesso Grand Palais pronto ad ospitare, tra nemmeno un mese, una nuova edizione di Paris Photo con molte delle gallerie presenti già ora, che saranno poi le stesse a muoversi verso Art Basel Miami Beach, nei primi giorni di dicembre.
Tutti in tour de force insomma, noi compresi, ma il feeling è molto positivo e alla fine di questa prima giornata molti sanno già dire se FIAC 2017 è stata un successo o no.
Buone richieste per José Pedro Croft, presentato dalla galleria di Lisbona Vera Cortés che – orgogliosa della partecipazione dell’artista come rappresentante nazionale del Portogallo alla Biennale di Venezia ancora in corso – decide di dedicargli un solo show. 
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Monica Bonvicini, stand di Raffaella Cortese
Da Parra e Romero di Madrid c’è invece Rosa Barba, e da Mendes Wood di San Paolo ci si fa strada tra Kishio Suga e Solange Pessoa: sono stand molto più che curati, “sintomo” che l’America Latina si respira e si fa largo sempre di più anche a nord, sfoderando uno dopo l’altro pezzi incantevoli.
Un po’ come fa Messen De Clerq, di Brussels, con uno stand che ospita una monumentale delocazione di Claudio Parmiggiani, e sarà vero o no, ma pare ancora di sentire l’odore di fuliggine che ha impresso le silhouette dei libri alle tele, in dialogo con la struttura e le sculture di Thu Van Tran.
Un buon feeling arriva anche dagli italiani di P420, che presentano tre cavalli di battaglia della galleria, i grandi Irma Blank e Paolo Icaro e il giovane Riccardo Baruzzi, giocando in uno stand concepito sul concetto di “linea”, tra pittura e scultura-installazione. 
Nota a margine: tutte queste gallerie si trovano nel settore Sud-Est al primo piano del Grand Palais. I box, qui, sono un poco più piccoli rispetto ai leoni presenti nel parterre, ma evidentemente la dimensione ridotta migliora l’offerta, e lo si vede anche dalla bella pittura che propone Karma Gallery di New York, che ha portato Nicholas Party (che proprio ora è in mostra a NY).
Resta il fatto, direte voi, che alla fine è sempre piuttosto facile trovare qualcosa di buono nel mucchio di una mega-fiera visto che di flop totali, a questi livelli, è quasi impossibile verificarne. E resta altresì vero il fatto che, a suon di fiere da una parte all’altra l’overbooking visivo è garantito. Come ci siamo mossi, allora, stamattina – anche per evitare di essere sopraffatti dalla quantità di umani e pitture e installazioni (video non pervenuti, fotografia in drasticissimo calo)? Seguendo il corpo.
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Stand di Isabella Bortolozzi
L’attenzione, alla FIAC (ma anche ieri sera tra gli stand di Paris Internationale) all’involucro umano sembra crescere: lo si dipinge, lo si “installa”, lo si traccia, lo si sessualizza. È un po’ come se, dietro gli angoli, sembrasse far capolino la volontà di raccontare ancora di questa macchina imperfetta della quale, anche in queste occasioni, siamo soliti ignorarne la stanchezza, l’ansia o i piccoli malanni, in nome della prontezza e della produttività. Che stia rinascendo, quindi, la curiosità di osservarsi anche “dentro lo specchio”?
L’esempio lampante di questa teoria dell’ultim’ora nata per questa occasione arriva dalla galleria di Isabella Bortolozzi (Berlino), che è forse lo stand migliore di FIAC. Non c’è nessuno sconto all’immaginazione nella donna nuda in posizione Origine du monde di Courbet o Étant Donnés di Duchamp che porta sul ventre un immenso flacone di profumo “Iron Lady”: è un pezzo di Anthony Sydmons, che dialoga con otto teste su piedistallo, in ordine decrescente, di Jos de Gruyter, totem che a loro volta sono associati a Carol Rama (presente con un bellissimo Senza Titolo del 1979 di stoffa densa di sensualità) e ai volti femminili di Calla Henkel, neri come maschere da bondage arricchite di lustrini e perle. Il tutto condito da una luce accecante su parete e pavimento candidi, come a dire “Forse farà un po’ male alla vostra morale vedere tutto questo, ma smettetela di tapparvi gli occhi”. E infatti una mamma scappa gridando alla propria bambina “Don’t look”. Touché.
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Stand Gavin Brown
C’è poi alla Pace Gallery Raquib Shaw che presenta un altro “Paradiso Perduto” dei suoi, zeppo di uomini lupo dalle nudità dirompenti e famelici. E ancora: Monica Bonvicini da Raffaella Cortese che nella nuova serie “Neck to Knees” ritaglia particolari fotografici presi da tabloid tedeschi, astraendoli: sono pezzi anatomici, riassemblati in grandi collage che sembrano autentiche pelli dal sapore surrealista, che solo ad uno sguardo puntiglioso si rivelano essere mani, braccia, gambe, busti, piedi. 
E il corpo dipinto continua da Karsten Greve con l’israeliano Gideon Rubin e le sue donne prese a loro volta dai giornali e dalla televisione, con la scuderia intera di Zeno-X (Borremans, Mark Manders, Roccasalva), che in fondo i pochi e sparuti Warhol, Liechtenstein, Haring o Carol Bove o Olivier Mosset (per stare più vicini) promossi da Gagosian, Van De Weghe o Skarstedt sembrano essere usciti da un altro tempo. Forse quello in cui il corpo reggeva i ritmi da globe-trotter proprio perché in fondo c’era un po’ più di calma, anche per il pensiero. Ma Silvie Fleury, dalle pareti della losangelina/svizzera Karma International ci ricorda con un neon rosa che oggi è oggi. Ma forse, nella mischia, si può guardare un poco di traverso anche in una fiera. C’est la vie, che vogliate o no. 
Matteo Bergamini

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