01 novembre 2017

Due o tre cose che so di lei

 
Una città forse un po' chiusa, ma con buon collezionismo e un'ottima fiera. Ritratto di Torino durante la sua settimana dell'arte, dalla parte dei galleristi

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Come si può riassumere il “vive e lavora a Torino” per un gallerista? La città sabauda è ancora sull’onda del contemporaneo? E cosa gli manca? Lo abbiamo chiesto a cinque differenti protagonisti della scena, partendo dalle loro storie. Ecco cosa ci hanno raccontato, rispondendo alle medesime domande, e scattando una fotografia della città in alcuni tratti molto simile.
1 – Come ti racconteresti?
2 – Parlaci della storia della tua galleria
3 – Cosa ti lega a Torino?
4 – Una cosa che ami, e una che odi, di questa città
5 – Quali prospettive per il contemporaneo vedi in questa città?
6 – Da gallerista, hai mai pensato a trasferirti? E quanto pensi sia importante la collocazione fisica di un proprio spazio espositivo rispetto alla geografia dell’arte?
GIORGIO GALOTTI (nella foto in alto)
Nel 2013 Giorgio Galotti si trasferisce a Torino da Roma, per intraprendere l’esperienza di CO2 con sede al Lingotto, cui affianca nel 2015 la galleria Giorgio Galotti. Dal 2016 è fondatore della fiera torinese Dama, che coinvolge un ristretto numero di gallerie internazionali emergenti. Nel marzo di questo anno ancora una trasformazione, con lo spostamento della sede in zona Barriera di Milano e un nuovo cambio di nome in GRGLT, per dare uno spazio ai propri artisti tra cui Piotr Skriba, Thomas Kratz e il torinese Gianni Ferrero Merlino.
1- «Sono un esploratore».
2- «Nata nell’Ottobre 2015 dopo un percorso formativo tra Roma e Torino, la galleria porta avanti un lavoro di ricerca sulle nuove generazioni di artisti internazionali».
3- «Tutto, ma soprattutto l’intimità della sua storia e la personalità dei suoi luoghi».
4- «L’attenzione e la cura per i rapporti interpersonali. L’utilizzo dei clacson e la presunzione degli automobilisti, sembra di stare a Il Cairo».
5- «Ogni cosa che farà parte del futuro dell’Italia sarà passato da Torino. Nessun’altra città ha questo potenziale di crescita continuo. Quando sento dire dai romani o dai milanesi: “Nella città dove vivo sto bene perché c’è tutto”, mi rendo conto che una città che ha tutto è un luogo che lascia poco spazio all’immaginazione, al desiderio, all’evoluzione. Il potenziale di Torino è di essere sempre sulla cresta dell’onda senza mai strafare».
6- «Credo che la nostra generazione sia apolide, grazie o per colpa di internet. Per questo sono sempre pronto a trasferirmi altrove. L’unico luogo che ancora mi sembra faccia la differenza come collocazione per una galleria è New York, se punti a una clientela di passaggio e hai le giuste opere l’unico luogo dove stare è a Chelsea. Nulla che mi appartenga ovviamente, in quanto io vorrei avere una galleria in un luogo deserto, dove non esistono altre gallerie, solo io e gli artisti che inviterei a intervenire sul luogo, per il resto c’è internet».
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ALBERTO PEOLA
In una delle zone più centrali di Torino è situata la galleria Alberto Peola, una presenza che caratterizza il sistema torinese delle gallerie d’arte dal settembre del 1989. Da allora è diventata un punto di riferimento cittadino grazie all’attenzione dimostrata per artisti emergenti e già affermati, stranieri, come Thorsten Kirchhoff, Emily Jacir, Martin Creed, Fatma Bucak, e molti italiani tra cui Botto & Bruno, Laura Pugno, Francesca Ferreri, Cosimo Veneziano. 
1- «Come una persona che cerca di mantenere viva la curiosità per le cose che accadono nel mondo, non solo in ambito artistico».
2- «Ho aperto l’attuale galleria nel 1989. Ho iniziato seguendo artisti della mia generazione, per passare poi a scelte che privilegiavano artisti alle loro prime esperienze espositive. Negli anni ’90 ho organizzato mostre di Enrica Borghi, Botto & Bruno, Sarah Ciracì, Paola De Pietri, Thorsten Kirchhoff, Luisa Lambri, Annika Larsson, Perino & Vele, Pusole… Nel 1999 ho fatto la mostra di Martin Creed prima che vincesse il Turner Prize, riempiendo di cinquemila palloncini rossi gli spazi della galleria. Negli anni 2000 ho esposto, tra gli altri, Gabriele Arruzzo, Elisabetta di Maggio, Michael Rakowitz, Gioberto Noro, Lala Meredith-Vula presente nel 2017 a dOCUMENTA, Marco Neri, Laura Pugno. Nel 2007 ho organizzato la prima mostra in Italia di Emily Jacir. Negli ultimi anni ho presentato le opere di Fatma Bucak, Francesca Ferreri, Eva Frapiccini, Cosimo Veneziano. La mia ricerca continua con la scelta di essere il più possibile attento alle nuove tendenze che trovano personali soluzioni narrative nell’impiego dei diversi mezzi espressivi, dalla fotografia alla pittura ai video alle installazioni. Tra le ultime proposte Victoria Stoian, Simone Mussat  Sartor, Cornelia Badelita».
3- «Soprattutto la presenza del fiume Po che frequento regolarmente in veste di canottiere. Più seriamente, i rapporti affettivi e d’amicizia che si sono intessuti negli anni sono un forte legame con la città».
4- «Di Torino mi piace la storia, in quanto città che è sempre stata all’avanguardia e che ha segnato innovazione in diversi ambiti. L’aspetto che meno amo, e che mi sembra in contraddizione con lo spirito aperto, democratico, vivace della città è il persistere di un certo conservatorismo e chiusura di ambienti consolidati».
5- «Abbiamo avuto venticinque anni di grande impegno da parte delle istituzioni culturali e politiche, nel difficile momento di ridefinizione dell’identità della città dopo la perdita del primato industriale, per fare di Torino la capitale dell’arte contemporanea in Italia. Ultima significativa dimostrazione è la riapertura dello spazio di architettura industriale delle OGR che aspirano a diventare uno dei motori dello sviluppo creativo della città. Mi auguro che il percorso compiuto fino a oggi possa continuare con lo stesso impegno e lo stesso livello di qualità».                                                                                                
6- «In qualche momento ho pensato di aprire anche una sede altrove, e New York sarebbe stata la meta. Poi è arrivata la crisi del 2008. Oggi però ritengo che la collocazione fisica della galleria sia meno importante. Il proliferare delle fiere d’arte ha spostato il mercato, che ormai si svolge quasi interamente nelle fiere, e determinato una diversa modalità di fruizione dell’arte. Le persone frequentano meno le gallerie, forse anche perché la facilità di informazione e visione offerta dal web in parte appaga la curiosità e sostituisce l’esperienza diretta del lavoro dell’artista nella sua completezza, che si può avere solo visitando la mostra in galleria o al museo».
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FRANCO NOERO 
La galleria Franco Noero è attiva dal 1999, anno in cui aprì nello spazio di via Mazzini, per poi trasferirsi nella storica “Fetta di Polenta”. Attualmente la galleria si struttura su due spazi complementari e opposti: in via Mottalciata, in una ex carrozzeria degli anni Cinquanta, e in Piazza Carignano, sede attiva dallo scorso anno. La galleria si configura oggi come un punto di riferimento per il contemporaneo sia a Torino che nello scenario internazionale, con un portfolio invidiabile che annovera artisti del calibro di Simon Starling, Robert Mapplethorpe affianco a nomi italiani come Lara Favaretto e Francesco Vezzoli. 
1 – «Non sto mai fermo». 
2 – «Nel 1998 decisi di trasferirmi a Torino da Roma in quanto casa del più importante movimento artistico italiano del secondo dopoguerra, l’Arte Povera, nonché di uno dei più fondamentali e rilevanti musei in Europa, il Castello di Rivoli. Era altresì una città in cui una persona di 29 anni poteva pensare di permettersi una galleria, cosa che a Roma o Milano sarebbe stato economicamente impensabile. Negli anni abbiamo cambiato molti spazi; dopo un po’ li consideravo esauriti, finiti. Dopo esserci presentati sulla scena artistica torinese con pochi metri quadrati in via Mazzini e poi via Giolitti, ci siamo trasferiti nel 2008 nei sette piani della Fetta di Polenta, edificio unico nel suo genere progettato dall’architetto Alessandro Antonelli. Nel 2013 abbiamo infine trovato la nostra “casa” in via Mottalciata 10/B e nel 2016 abbiamo raddoppiato inaugurando un nuovo spazio in piazza Carignano proponendo sua serie di personali di nostri artisti tra cui Lothar Baumgarten, Robert Mapplethorpe e Mark Handforth. In occasione di Artissima, inaugureremo Mario Garcia Torres in via Mottalciata e Pablo Bronstein in piazza Carignano. Stiamo inoltre correndo contro il tempo per organizzare la seconda mostra a Torino di Martino Gamper sempre in occasione della fiera». 
3 – «Torino è il luogo dove gli artisti vengono, si ispirano, seminano, si confrontano, raccolgono, producono. È una città nella quale ho sempre creduto e tutt’ora credo molto, dove si possono trovare ancora oggi straordinarie potenzialità e opportunità. 
4 – «Amo l’innovazione e la tradizione. Purtroppo ogni tanto è ferma e un po’ si piange addosso».
5 – «Le prospettive sono molte, basti pensare alla presenza di Musei e Fondazioni importanti e all’apertura delle OGR. Poi ci sono le collezioni private, sicuramente un elemento propulsivo per un ulteriore sviluppo in chiave contemporanea del panorama artistico torinese. Torino è una città ricca di possibilità che dovrebbero essere sfruttate al meglio, è una città che può sempre sorprendere». 
6 – «Partecipando a dieci-undici fiere all’anno, ho la possibilità di spostare l’ufficio a Londra, Basel, Miami, Hong Kong, Dubai, Sao Paulo e in molte altre città. Credo nella città di Torino come base per il mio lavoro e nelle sue straordinarie potenzialità tanto che ho fortemente voluto l’apertura di un secondo spazio espositivo proprio nel cuore cittadino. È una città che ha dato tanto alla galleria e che resta un punto di attrazione importante per il sistema dell’arte contemporanea, italiano e internazionale. Un trasferimento, quindi, non è mai stato nei progetti; certo la mobilità e fluidità del mio settore mi hanno sempre fatto valutare, come imprenditore, una possibile seconda sede fuori dall’Italia, che non è né esclusa né allo studio attuale. Torino sarà, in ogni caso, certamente sempre centrale». 
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GUIDO COSTA
Fondata nel 1998, Guido Costa Projects sviluppa un percorso di ricerca personale, caratterizzato da progetti concepiti per gli spazi della galleria e da risultati di grande spessore culturale. Una scelta che dal 2001 si accompagna al trasferimento della galleria in una vecchia litografia artigiana di Via Mazzini 24, a pochi passi dalla stazione ferroviaria di Porta Nuova. Principalmente devota a fotografia, video, scultura, performance e arte installativa, la galleria lavora con grandi artisti della scena internazionale, come Boris Mikhailov, Nan Goldin, Peter Friedl, mantenendo una forte indipendenza nella selezione degli artisti rappresentati, tra cui figurano i torinesi Manuele Cerutti, Massimiliano e Gianluca De Serio, Hilario Isola, Diego Scroppo e Piero Gilardi. 
1 – «Sono un intellettuale prestato al mondo dell’arte. Ho una storia abbastanza differente dal tradizionale mondo delle gallerie commerciali. Sono laureato in Estetica con Gianni Vattimo e per quasi dieci anni ho insegnato filosofia nei licei. Sul finire degli anni ’80 ho avuto numerose esperienze nel teatro, nel cinema e nel giornalismo (ho scritto di arte e cultura per La Repubblica per quasi cinque anni) quindi, a partire dal 1989 e fino al 1994, ho lavorato in Europa come curatore indipendente e, fino al 1999, come direttore di galleria a Napoli, presso Theoretical Events, dove ho iniziato un vero e proprio rapporto con artisti, gallerie e collezionisti».
2- «La storia di Guido Costa Projects risale alla fine degli anni Novanta, quando, terminata la direzione Th.e, sono ritornato a Torino dove ho inaugurato la mia prima galleria, facendo tesoro delle esperienze passate sia come direttore di galleria, che come curatore indipendente. Ho iniziato lavorando con alcuni degli artisti che già conoscevo, aggiungendo nomi e collaborazioni che ai tempi ritenevo di stringente attualità. Da subito ho deciso di sperimentarmi su di un piano altamente professionale, producendo mostre, lavorando in esclusiva, facendo scouting in giro per il mondo con obbiettivi squisitamente internazionali. Insomma, ho cercato di seguire modelli seri e competitivi, cercando di superare il localismo di tante gallerie italiane di quegli anni, ancora dominate da vizi e virtù tipici dei decenni passati».
3- «Io sono torinese di nascita e, anche se ho sempre cercato di darmela a gambe, alla fine sono ritornato inesorabilmente a Torino, sia volontariamente che involontariamente. Ho un rapporto conflittuale con la città, pur tenendo presente che è una delle poche realtà italiane in cui ci si può confrontare con un sistema arte collaudato ed efficiente, fatto di tanti collezionisti, piccoli e grandi, e abitato da molti artisti interessanti».
4- «Torino è una città matrigna, spesso ingrata e crudele. Non garantisce nulla, è chiusa su se stessa anche se apparentemente sembra progressista ed aperta. Ha tutti i problemi che le derivano dall’essere periferica, protetta in una sorta di nicchia, ed è spesso gravata da un certo immobilismo, quasi genetico, che ne limita potenzialità e risultati. È una città che vive sulle sue contraddizioni, che però sono il suo vero punto di forza su cui è molto produttivo agire e lavorare. E’ da sempre una città laboratorio dove, se si ha pazienza, tenacia e argomenti è pur sempre possibile scavarsi un piccolo spazio. Purtroppo – e questo è uno dei suoi limiti più evidenti – c’è una scarsa comunicazione tra gli strati sociali e gli individui, al pari delle grandi metropoli europee o statunitensi, senza averne il dinamismo. Qui tutto è compartimentato, sedimentato negli anni: tutti si conoscono dai tempi del liceo, hanno frequentato gli stessi locali, condiviso esperienze e traumi».
5 – «Dal punto di vista di ciò che è stato fatto negli ultimi anni da parte delle istituzioni pubbliche e private e ora, da ciò che ci si aspetta dai nuovi esperimenti di politica culturale, a partire dalle OGR, mi sembra che le prospettive future siano buone. Non penso, al contrario, che si assisterà a grandi cambiamenti nella cultura del contemporaneo in generale, per via di un certo, inesorabile, imbarbarimento degli ideali politici, poetici ed esistenziali che caratterizza la cultura a livello globale. Sono contento che in città si moltiplichino i ristoranti ed i locali dedicati al divertimento delle masse, ma anche preoccupato perché una città di cultura è qualcosa d’altro. Nel nostro piccolo, riproduciamo ciò che si decide e si forma altrove in un mondo globalizzato: siamo semplicemente uno specchio in sedicesimo di una realtà massificata, impoverita e globalizzata. Torino fa quello che può».
6 – «Ho pensato di trasferirmi infinite volte. La verità è che non ho mai avuto i quattrini per poterlo fare con una certa liberalità e disinvoltura. Alla fine, dopo molte riflessioni, ho deciso di giocare una carta schiettamente localistica e di lavorare, a fianco del mio gruppo di artisti internazionali, con un bel gruppo di artisti torinesi. Insomma, di credere e investire energie su questo sistema di cui tanto si parla. Il mio desiderio di fuga c’è sempre, ma è più che altro qualcosa di romantico, che ha a che fare con la gioia del nuovo e dell’imprevisto: non credo che altrove si possano trovare situazioni spiritualmente differenti, ma soltanto condizioni più propulsive, spesso soltanto dal punto di vista commerciale. É sicuramente diverso avere una galleria a Londra a Hong Kong o a New York, ma si deve lavorare, innanzitutto, coerentemente con il luogo che ci ospita, modellando su di esso tanto la filosofia della galleria, che la natura degli artisti con cui si vuole collaborare. Ogni struttura si sviluppa dialetticamente con il contesto in cui opera e non può esistere un modello di galleria che possa essere esportato altrove in maniera automatica. So che cosa significa fare il gallerista a Torino ed in Italia, e non sono più così sicuro di avere voglia di travestirmi da gallerista londinese o berlinese».
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NORMA MANGIONE
La galleria Norma Mangione nasce nel 2009 a pochi passi da piazza Vittorio Veneto con una proposta attenta a nomi di rilievo internazionale, come Michael Bauer o Ruth Proctor, ma anche capace di creare situazioni inedite di confronto fra artisti torinesi di diverse generazioni come nella bipersonale di Paolini e Barocco. 
1 – «Preferisco farmi raccontare dalle mostre e dai progetti che organizzo».
2- «Ho aperto pensandomi come una curatrice con uno spazio, con grande incoscienza, ma col tempo ho acquisito maggior consapevolezza e la galleria è cresciuta, soprattutto grazie e insieme agli artisti. Con alcuni ho collaborato fin dall’inizio, come quelli che hai citato, con altri è un rapporto più recente o ancora in divenire. Spesso ho ospitato progetti curati o pensati con loro, sia dentro la galleria che fuori, in fiere o in progetti paralleli».
3 – «È la città dove sono nata e cresciuta, quindi per forza di cose sono legata da una grande quantità di legami e abitudini».
4 – «La sua dimensione un po’ provinciale».
5 – «È una città con un’ottima fiera, con galleristi, collezionisti, musei e fondazioni importanti, tra cui uno, le OGR, che ha appena inaugurato, e questo mi sembra un buon segnale».
6 – «Ogni volta che viaggio fantastico su come sarebbe avere la galleria in quel determinato posto. Credo però sia importante che la sede di una galleria, perlomeno quella principale (per chi ne ha più di una), sia in un posto dove si hanno delle relazioni e dove ci sia un numero sufficiente di persone interessate al suo programma. Però questo (il programma) è di gran lunga più importante della sede geografica. Peraltro gestire è di per sé un mestiere poco sedentario, richiede di viaggiare molto e questo fa sì che non ci si stanchi troppo della propria città».
Alessandra Franetovich

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