05 novembre 2017

Torino Art Week/17. Che storia, quel geranio. Ce la racconta Uriel Orlow, per la sua mostra al PAV

 

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Forse non lo sapevate ma quel geranio rosso che avete comprato dal fioraio sotto casa viene da molto, molto lontano. Le sue radici entrano nella profondità della terra dell’Africa Australe e dovete ringraziare la Compagnia Olandese delle Indie Orientali, che nel 1652 lo portò in Europa, se potete usarlo per aggiungere una nota di colore al vostro balcone, in cambio di poche e semplici accortezze. Ma cosa fanno le piante, quando nessuno le guarda? Si raccontano queste e altre storie, che parlano di colonialismo, capitalismo, interessi multinazionali, viaggi lunghissimi e insospettabili, per degli organismi che, in fondo, sembrano così statici. Spostarsi, rimanendo fermi? Un geranio può e anche il mandorlo selvatico piantato nel 1660 a Cape Town dai primi coloni olandesi per impedire agli indigeni Khoikhoi e al loro bestiame di accedere all’orto destinato a rifornire le navi della Compagnia. E, a dispetto del suo nome, anche il Sideroxylon Inerme, albero storico di Cape Town che segna il punto in cui, nel 1510, ebbe luogo lo scontro tra i Khoikhoi e gli esploratori portoghesi, in seguito al quale morì Dom Francisco De Almeida, al quale si deve l’egemonia portoghese nell’Oceano Indiano. 
Tutte queste vicende e le ripercussioni giunte fino a noi, sono al centro di “Prima che le piante avessero un nome”, mostra di Uriel Orlow, a cura di Marco Scotini, inaugurata il 4 novembre e visitabile fino al 18 marzo 2018 al PAV-Parco Arte Vivente. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare dall’argomento e dalle possibilità del luogo, l’esposizione si sviluppa quasi completamente negli ambienti interni, a parte una serie di grandi stampe su pvc allestite nell’ottagono del cortile, visto che il focus, più che sull’esistenza delle piante in sé, è puntato sull’interpretazione antropica e storicista delle specie vegetali, il modo in cui le abbiamo usate, proseguendo la ricerca dell’artista nato nel 1973 a Zurigo, incentrata sui meccanismi di oppressione e sulle strategie di resistenza. E si sa che gli uomini sono vulnerabili agli ambienti troppo umidi ed è preferibile una più comoda fruizione, specie in questo periodo dell’anno. Così, mentre fuori inizia a cadere la solita pioggia sottile del fine settimana, che sembrava poter risparmiare l’art week, negli ambienti interni possiamo osservare le serie fotografiche in cui gli alberi diventano monumenti riferiti a precisi eventi storici, oppure assistere al processo che si svolse in Sud Africa nel 1940, quando un tribunale accusò la condotta di Mafavuke Ngcobo, un erborista tradizionale. Ancora, placidamente seduti intorno a una colonna di libri, ascoltiamo i nomi delle piante nella tradizione indigena, prima della codificazione di Linneo. Per conoscere la storia, oltre che per fruire dell’arte contemporanea, non è necessario avere il pollice verde. E a proposito di arte e natura e del rapporto tra arte e cibo, a Eataly Lingotto, fino al 15 novembre, in collaborazione con PAV, saranno visibili le opere La Passione del Grano del gruppo Wurmkos e il Tappeto Natura Pesche di Vigna di Piero Gilardi. (MFS
In alto: Uriel Orlow, The Fairest Heritage, 2016-7, courtesy of the artist

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