19 novembre 2017

Il vero secondo Jasper Johns

 
Tra ossessioni e ricordi, ancora qualche settimana per scoprire il più schivo degli artisti statunitensi legati alla Pop Art, nella grande retrospettiva alla Royal Academy di Londra

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La ricerca di qualcosa che rassomigli al vero in Jasper Johns è il marchio di fabbrica di tutto il suo percorso artistico, nonché il filo conduttore della grande retrospettiva alla Royal Academy di Londra (fino al 10 dicembre 2017), curata da Roberta Bernstein e Edith Devaney, la più completa dopo quella del 1996 al MOMA di New York. 
Oggi Johns ha 87 anni e nell’ultima sala dell’istituzione museale londinese ci sono parecchi elementi che rivelano i dettagli della personalità di un uomo, oltre che di un artista, schivo, insofferente al jet set, che vive una sorta di isolamento forzato in una vecchia casa di campagna nel Connecticut. In questi lavori tardi emergono tracce di memoria della sua infanzia, un’esplorazione dell’identità e della morte che approfondiscono le tematiche dei lavori degli anni Cinquanta. Ma la violenza della pennellata cede il posto alla dolcezza nel ricordo dei nonni, del padre, degli zii e del suo immaginario del passato.
La verità che insegue l’artista non è un dato oggettivo e spesso si trova negli strati più profondi delle cose. Questo pensiero risulta evidente nell’opera Within della prima sala, un grande bersaglio del 1983, nelle bandiere americane tutte diverse, realizzate attraverso l’antichissima tecnica dell’encausto su un moderno collage di fogli di giornale, e nelle famosissime lattine di birra in bronzo, “oggetti che si guardano, ma che non si vedono”, come li definisce lo stesso Johns, simboli della cultura americana destrutturati, distorti, decontestualizzati, ricostruiti, al punto tale da diventare nauseanti per il loro senso di cruda verità. 
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Jasper Johns, Target, 1961. Encaustic and collage on canvas. 167.6 x 167.6 cm. The Art Institute of Chicago © Jasper Johns / VAGA, New York / DACS, London. Photo: © 2017. The Art Institute of Chicago / Art Resource, NY / Scala, Florence

Si racconta che Johns iniziò a dipingere le bandiere americane dopo averlo sognato di notte: non è forse la crisi dell’”American Dream” che cede il passo all’ossessione dell’uomo moderno? 
Con Robert Rauschenberg, Merce Cunningham e John Cage è stato tra i grandi innovatori dei linguaggi della metà degli anni Sessanta, contribuendo così a consolidare il nuovo baricentro dell’arte in America. Ma tutta la sua produzione artistica è intrisa di cultura europea – non è un caso che Johns sia stato insignito del titolo di Accademico d’Onore dell’Accademia delle arti del disegno di Firenze – e questo lo si evince dalle citazioni di grandi artisti del Vecchio Continente come Picasso, Munch, Van Gogh, dal forte desiderio di dipingere, e soprattutto dall’ atteggiamento romantico di ricerca di un senso della vita e perfino di grazia, come dice il titolo della mostra.
Se è vero che i grandi artisti sono coloro che hanno determinato la nascita di un linguaggio, di una corrente, è altrettanto legittimo pensare che lo sfuggire a qualsiasi categoria, come nel caso di Johns, sia sinonimo di essere entrati, ormai, a far parte della Storia.
Nella sezione “In the studio” gli oggetti, ready-made trasportati direttamente sulla tela ed identificati attraverso etichette scritte a mano, finiscono per rappresentare qualcos’altro: nell’opera Fool’s House del 1961-62 la scopa diventa un pennello, la tazza di caffè un contenitore per mescolare i colori, uno strofinaccio da cucina un panno per pulire la tavolozza, attraverso un grande gioco di capovolgimento dei ruoli.
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Jasper Johns, Ventriloquist, 1983. Encaustic on canvas. 190.5 x 127 cm. Museum of Fine Arts, Houston © Jasper Johns / VAGA, New York / DACS, London 2017.

Ma se alla Royal Academy va reso il merito di aver esposto i più grandi capolavori di Johns, come Star del 1954 – il più vecchio di tutta la mostra e uno dei suoi più vecchi in assoluto, se si considera che a ventiquattro anni l’artista distrusse tutti i suoi lavori giovanili – ancor di più va riconosciuto l’impegno nella cura di un percorso che contempla anche quelle opere per le quali Johns è meno conosciuto. 
Lirica è la White Flag del 1960, ancora una volta una bandiera americana, ma totalmente ricoperta di bianco, una superficie monocromatica che rivela nelle diverse gradazioni di un identico colore un approccio malinconico e silenzioso nei confronti della realtà. Così come le sequenze dei numeri da 0 a 9 – in mostra è presente il primo della serie Numbers realizzato nel 1958 – dove alla banalità dell’immagine si sovrappone una particolare attenzione ai valori plastici, cromatici e pittorici della raffigurazione.
Non sono solo i numeri ad essere oggetto di interesse da parte di Johns, ma anche le parole e il linguaggio: le voci di poeti come Herman Melville, Hart Crane, Frank O’Hara rivivono sulla tela attraverso il volto di Johns che ora gioca il ruolo di un ventriloquo. Il Frammento di una lettera scolpita su due lati riproduce un estratto di uno scambio epistolare tra Vincent Van Gogh ed Emile Bernard, attraverso caratteri normali e nel linguaggio dei segni, sfidando il concetto di una comunicazione semplice e diretta. Tra le opere esposte un delizioso libro d’artista con i testi di Samuel Beckett sul linguaggio e la natura dell’esistenza, accompagnati dagli intagli di Jasper Johns che riproducono tutto il suo immaginario. 
A cavallo dei suoi quarant’anni, negli anni Settanta, Johns inizia ad indagare il concetto di tempo e di transitorietà della vita: in mostra l’opera Skin del 1975, una sorta di sindone non sacra, che restituisce un’immagine distorta dell’artista, quasi fosse un sudario. Ed è proprio in queste linee, in questi tratteggi, nelle catene sospese che si evoca la natura fugace dell’esistenza dell’uomo il cui destino tragico, ci ricorda Johns, è simile a quello della cicala che può godere della sua vita da insetto solo per poche settimane, ma per il resto, è condannata a restare sottoterra, in uno stato larvale. 
Maria Marinelli

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