21 novembre 2017

E uscimmo a riveder le stelle, con Kapoor e Guercino. L’universo di Galileo da scoprire, a Padova

 

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Con strumenti rarissimi e preziosi prestiti, la mostra “Rivoluzione Galileo” curata da Giovanni Villa e Stefan Weppelmann, racconta l’avventura della scienza dall’epoca di Galileo. A spiegare e sancire il legame tra artisti e scienziati, ci sono diversi passaggi ricchi di fascino, come gli estratti in bianco e nero del film di Georges Méliès del 1902, i fumetti di Tintin del 1953, e cortocircuiti temporali, attraverso cui, il secolo di Galilei e delle scoperte scientifiche, in fondo mai concluso, viene narrato in lungo e in largo. 
Si inizia da Anish Kapoor che apre il percorso, a ritroso si va al cielo di Donato Creti (dal Vaticano!) e si prosegue con le foto “gravitazionali” di Paglen e Najjar (2008 e 2016), con il calco dell’Atlante Farnese (quello autentico è del II secolo d.C.) e con gli studi lunari di una donna, Maria Clara Eimmart, raro nel XVII secolo. Insieme a tantissime altre opere e apparecchiature, cannocchiali, telescopi, saggi, documenti autentici, compassi, astrolabi, e quadri, sono più di 200 i pezzi provenienti da Padova stessa e dall’Università di Bologna, oltre che dai musei di Pisa, Milano, Vienna e New York. 
Attraverso questo denso caleidoscopio di oggetti e opere d’arte fondamentali, Galileo sale di nuovo in cattedra per svolgere un’altra delle sue grandiose lezioni. Stavolta, però, lo fa fuori dai luoghi deputati alla scienza, nelle sale del Palazzo del Monte di Pietà, accanto al Duomo e agli straordinari affreschi di Giusto dè Menabuoi. Non dall’Università, che aveva sede nell’attuale Palazzo del Bo, accanto alla cucina e allo splendido teatrino anatomico. 
«Che una tesi sia contraria all’opinione di molti non importa affatto, purché corrisponda alle esperienze e alla ragione»: queste le parole – sostiene il curatore Villa citando il biografo Viviano – dell’uomo, il genio, lo studente di Pisa che a dispetto di tutto «si propose di supplire alla povertà della sua sorte con la propria assiduità nelli studi». Oltre che di sfatare coraggiosamente tutti i miti fantastici e le conoscenze scientifiche raggiunte fino a quel momento. Coraggio che dovette arretrare di fronte al Tribunale del Sant’Uffizio, quando, il 22 giugno 1633, pronunciò l’abiura nel convento di Santa Maria sopra Minerva, a Roma. L’Inquisizione ostacolò, anzi, in fondo, rallentò solamente, la conoscenza scientifica, l’episodio fu una breve battuta d’arresto alla sua ricerca della verità del Cosmo. Come il mitologico Atlante che carica sulle sue spalle il peso del globo terrestre (c’è uno splendido olio del Guercino in mostra, dal museo Bardini di Firenze) Galileo riuscì, benché costretto a rinnegare alcune verità scientifiche, a salvare e a tramandare le competenze acquisite, grazie a quei «21 caratteruzzi» che costituiscono l’invenzione della scrittura. Con lo studio degli astri, delle fasi lunari, del moto dei gravi o il perfezionamento del cannocchiale e il microscopio, Galileo Galilei chiude l’epoca del Rinascimento per aprire il nuoco che avanza, con il ‘600 e la modernità: perché le sue scoperte espressero seri dubbi sui confini della conoscenza e i suoi scritti rivoluzionarono il mondo e quindi la nostra vita. Fu lui a mettere in discussione le parole degli antichi maestri, puntando piuttosto sui dati dell’esperienza e dell’osservazione. Nacque con lui il metodo sperimentale. Le sue scoperte, è certo, furono agevolate dal clima di laicismo culturale dello Studium di Padova, università che dipendeva da Venezia, libera quindi dall’influenza, quando non dal condizionamento di cattolici o calvinisti. A Padova, dove facendo lunghe passeggiate all’Orto botanico, che è il più antico del mondo e il teatro anatomico di Girolamo Fabrici d’Acquapendente, trovò finalmente l’ambiente più adatto per esprimere la sua genialità e rinnovare la conoscenza del mondo. Come era comune allora, fu uno studioso completo, un letterato finissimo, grande scrittore, virtuoso liutista e scaltro imprenditore: perché avendo una grande famiglia a carico, produsse cannocchiali e compassi geometrici militari, che gli garantirono una succulenta rendita economica, maggiore dei proventi che riceveva dall’insegnamento universitari. 
Per l’eccezionale figura di Galilei, la vita di un uomo straordinario che eccelse in molti campi del sapere, era necessaria una mostra altrettanto eccezionale, di alto valore divulgativo, articolata su più livelli culturali, con due anni di preparazione, e un ingente impegno economico. Ed ecco perché, dopo più di 200 opere e un percorso lungo e affascinante, prima di uscire a rimirar le stelle, non poteva che chiudere la mostra la videoinstallazione di Michael Najjar, Spacewalk. Lì si fanno due passi (virtuali) lungo i crateri della Luna. Quella stessa Luna, immutata, che dopo Galileo fu osservata come mai prima. Una preziosa palla di roccia e polvere circondata dal nulla che, forse, senza Galileo, non sarebbe mai stata osservata a fondo e non sarebbe mai diventata l’oggetto di culto divino di poeti e innamorati che oggi è! Persino attori come Giancarlo Giannini e personaggi della cultura come Corrado Augias la racconteranno, per incontri nell’ambito della mostra, da febbraio 2018. (Anna de Fazio Siciliano)

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