27 novembre 2017

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Davvero l'Italia non ama più l'arte contemporanea? Un excursus nel nuovo libro di Ludovico Pratesi. E qualche speranza per il futuro
di Paola Ugolini

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Ludovico Pratesi in questa sua nuova pubblicazione punta il dito contro un Paese, la nostra piuttosto sgangherata Italia, accusando la Politica e le Istituzioni di non amare più l’arte contemporanea a differenza di quanto invece è avvenuto in un passato nemmeno tanto remoto.
Il libro comincia con un interessante intervista al Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini, in carica dal 2014 che, effettivamente, in soli due anni ha rivoluzionato il Sistema Musei creando la Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanea e Periferie Urbane con l’intento di trasformare, in un futuro ottimistico, le nostre lande metropolitane in un grande laboratorio per arte e architettura contemporanea. Altro fiore all’occhiello del Ministro l’istituzione dell’Italian Council per la produzione e la promozione dell’arte italiana nel mondo, la partnership con Francia e Germania per la nascita di “Erasmus Cultura”, per favorire gli scambi fra i giovani artisti di questi Paesi, e il progetto “Grand Tour d’Italie” che quest’anno ha invitato dieci direttori provenienti dalle istituzioni culturali più prestigiose del mondo per un “tour” italiano di studio visits. 
Ottime iniziative, quindi, che per gli anni a venire dovrebbero aiutare i nostri artisti ad uscire da una dimensione “ai margini” che negli ultimi vent’anni ha sicuramente penalizzato le generazioni dei cosiddetti mid-career oltre che i più giovani. 
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La copertina del libro
Ludovico Pratesi per sostenere il suo punto di vista, ovvero che dopo la fine degli anni ottanta del secolo scorso l’Italia ha smesso di investire con orgoglio e consapevolezza sui suoi artisti emergenti, che a poco a poco sono scomparsi dalla scena internazionale, ha analizzando la storia della manifestazione più importante inventata dal nostro Paese per promuovere la diffusione dell’Arte Contemporanea, ovvero la Biennale Arti Visive fondata a Venezia nel 1895 e arrivata quest’anno alla sua gloriosa 57esima edizione. 
Effettivamente, leggendo i dati che contraddistinguono la presenza degli artisti italiani nella grande mostra curatoriale che, con un colpo di mano, Harald Szeemann portò dal 1999 nel Padiglione Italia al centro dei Giardini, relegando la presenza del Belpaese in fondo all’Arsenale, e facendo sì che invece il Padiglione Ex-Italia diventasse il cuore pulsante della manifestazione, la presenza dei nostri artisti si è andata via via affievolendo. Basti pensare a “All the world’s Futures” la biennale 2015 curata, con taglio fortemente politico, da Okwui Enwezor, in cui su un totale di 136 artisti c’erano solo 4 presenze italiane…in effetti davvero poche. 
Il grande problema per l’Italia si è appunto creato nel 1999, lasciando il Paese ospitante privo di padiglione, problema in parte risolto solo nel 2007, quando la penisola ha finalmente trovato la sua nuova casa in fondo all’Arsenale. Il problema, però, negli ultimi anni, è stata una gestione principalmente, e purtroppo, politica e non più culturale che quindi, di volta in volta, dipende dalla lungimiranza del Ministro in carica. Una gestione che ha dato dei risultati troppo altalenanti per poter attirare l’attenzione del mondo sulla nostra produzione culturale attuale. 
Dopo questo excursus Pratesi prende in considerazione i Musei con le loro collezioni, i Musei Civici e i Centri d’Arte che negli ultimi anni, a causa dei tagli finanziari, hanno purtroppo dovuto chiudere o affidare la loro gestione a persone prive dei requisiti minimi professionali per poter attuare un piano espositivo degno di questo nome. Un vero peccato questo non credere più nelle professionalità specifiche per sposare la nefasta politica del “fai da te”, in cui mostre e mostriciattole si alternano senza una visione di insieme solo per rincorrere un pubblico generalista sempre meno colto e sempre più confuso. Il libro si conclude con una serie di consigli che effettivamente sarebbe utile mettere in pratica per recuperare il tempo perduto.  
Perché il divario fra l’Italia e il resto del mondo – per quel che riguarda l’arte contemporanea – si potrà e, soprattutto, si dovrà colmare con delle politiche culturali che abbiano una visione di insieme a lungo termine e non con degli interventi spot utili solo a mettere toppe momentanee. Il Ministero non dovrà più dimenticare che il nostro padiglione nazionale alla Biennale è il nostro più importante biglietto di presentazione sul palcoscenico mondiale.
E ormai è chiaro che non ci si possa più permettere quegli assurdi affollamenti e quegli inutili paragoni fra il passato e il presente che hanno tristemente contraddistinto la presenza italiana delle passate edizioni, e che non hanno fatto un favore né agli artisti né alla nostra immagine di Paese produttore di cultura.  
Se vogliamo cominciare a vedere il bicchiere mezzo pieno anziché mezzo vuoto concentriamoci sul recente successo del nostro padiglione curato da Cecilia Alemani che, con il suo affascinante “Il Mondo Magico” ha ridato dignità ai nostri artisti presentandone coraggiosamente solo tre. Per il prossimo futuro, personalmente, mi auspico il “solo show” quantomeno per essere in linea con il resto del mondo. E speriamo di riuscirci nel giro di due anni.
Paola Ugolini
Perché l’Italia non ama più l’arte contemporanea. Mostre, Musei, Artisti
di Ludovico Pratesi 
Castelvecchi, Roma
Luglio 2017 
pagine 92
Euro 13,50

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