11 dicembre 2017

Ritratto di una vita consacrata all’arte: ecco Julian Schnabel secondo Pappi Corsicato, per due giorni al cinema grazie a Nexo Digital

 

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Palazzo Chupi, cioè un edificio sulla undicesima strada in pieno Greenwich Village a New York: praticamente una magione veneziana sull’Hudson. La dimora di Montauk a Long Island. La passione per il surf e per le onde del mare che ama cavalcare. Le immancabili lenti gialle a schermare gli occhi. Pigiami di seta per ogni occasione, comprese le uscite in pubblico. Un carattere da orso al risveglio da un lungo letargo. Una generosità imprevedibile. Tele enormi, su cui il colore è steso con mani, pennelli, insieme a piatti rotti e altri materiali che balzano in mente lì per lì. La scrittura e la direzione di film come Basquiat nel 1995, oltre al pluri-premiato Prima Che Sia Notte (2000, Leone d’argento-Gran Premio della Giuria al Festival di Venezia) e Lo Scafandro e la Farfalla (2007, Miglior Regia al Festival di Cannes, due Golden Globe e la nomination come miglior regista agli Oscar). Sto parlando di Julian Schnabel e dell’affettuoso ritratto che ne dà Pappi Corsicato nel suo ultimo film-documentario, che sarà nelle sale solo il 12 e 13 dicembre (elenco dei cinema su nexodigital.it).
Con una miscela di materiale inedito, ottanta ore di girato, tratto dagli archivi personali di Schnabel, riprese nuove dell’artista al lavoro e nel tempo libero e le testimonianze di amici, familiari, attori e artisti, tra i quali Al Pacino, Mary Boone, Jeff Koons, Bono e Laurie Anderson, Corsicato dà vita a un racconto biografico di ottanta minuti, affascinante e rivelatore, intimo, sentimentale, che non scade mai nell’agiografia, di uno degli artisti più anticonformisti e controversi del panorama contemporaneo. 
Il regista partenopeo conosce “Julian” nei primi anni Ottanta quando si trasferisce a New York. Poi, vent’anni dopo, lo incontra a Napoli in compagnia di altri artisti e amici – tra i quali Francesco Clemente – e da allora diventano buoni amici. Ed ecco che, qualche anno fa, si ritrovano a Li Galli, una piccola isola di fronte a Positano (da cui comincia il film), ed è lì che Corsicato gli parla dell’idea di fare un documentario su di lui. Due giorni prima di iniziare le riprese a New York City, un buon amico di Schnabel muore, Lou Reed (il 27 ottobre 2013), e all’artista era anche nato un figlio quell’estate. Un periodo molto difficile per Schnabel che, comunque, dà il permesso a Corsicato di andare a casa sua a fare le riprese. «Solo io, il mio assistente e le nostre macchine da presa, una video camera digitale Canon c100 e una pro camcorder Canon xf100, e una Go-Pro. Avevamo un lavoro da seguire, – ci racconta il regista partenopeo – ma non gli stavamo fra i piedi e abbiamo avuto cura di non invadere troppo il campo. E allo stesso tempo, essendo amici, non è come avere un estraneo in casa che ti gira attorno dalla mattina alla sera. Siamo rimasti a New York per un paio di mesi e lo abbiamo seguito ad alcune delle sue mostre, una alla Fondazione Brant e un’altra a San Paolo. Passavamo anche del tempo insieme a parlare e uscire. Julian non si ferma mai! Non smette mai di lavorare, non smette mai di muoversi, non smette mai di vivere la sua vita. Ero sempre con lui; non credevo che si sarebbe fidato così tanto di me. Mi ha fatto pensare a quanta energia ha: lui si mette al lavoro con determinazione ed è molto costante. Scendeva nel suo studio alle 11:00 di sera per dipingere e mi diceva: “Perché non vieni anche tu?”. Creava a qualsiasi ora del giorno e della notte e la cosa mi ha sorpreso». Insomma, Schnabel come la perfetta incarnazione di chi dedica la propria energia e vita all’arte e alla creatività. (Cesare Biasini Selvaggi)

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