12 dicembre 2017

Un pezzo di storia chiamato Mata Hari

 
Madre, ballerina, spia, sensuale e forse “annoiata”. Leeuwarden, in Olanda, apre le danze come Capitale Europea della Cultura 2018 con una mostra sul personaggio

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È all’insegna del nuovo rinascimento del pensiero, che Leeuwarden, nel nord dell’Olanda, si prepara a diventare la Capitale della Cultura nel 2018, e lo fa presentando un anno con centinaia di eventi, grandi e piccoli, ufficiali o ancora da definire, un insieme di installazioni di arte contemporanea, spettacoli, incontri, e grandi mostre come quella appena inaugurata al Fries Museum, sulla grande Mata Hari, “The Myth and the Maiden”, da visitare fino al 2 aprile; poi sarà la volta di Escher, per spaziare tra passato e futuro, seguendo messaggi precisi: innanzitutto osa sognare, poi osa fare; non aver mai paura di esser diverso.
Si comincia però con il grande mito, con la donna che continua a colpire l’immaginario a 100 anni esatti dalla sua fucilazione: Margaretha Geertruida Zelle, nata a Leeuwarden nel 1876, meglio nota con il nome Mata Hari, ovvero in malese “Occhio dell’Alba”, poi scoperta con il codice H21 quando ricopriva il suo ultimo ruolo, quello di spia, che le costò la vita, il 15 ottobre 1917. Una morte leggendaria esattamente come la sua vita: quella mattina si vestì con la solita eleganza, guanti e cappello; stupì i 12 fanti che dovevano ucciderla quando non volle esser bendata: solo l’atto finale di un’esistenza da diva, tra drammi, colpi di scena, amanti, e tragedie. I primi anni sono quelli un po’ grigi passati nella piccola città olandese, il papà commerciante di cappelli con grandi ambizioni sfociate in un fallimento. Ed è solo l’inizio di una serie di eventi negativi: i genitori si lasciano, la madre di Margaretha morirà quando lei è ancora una ragazza, lasciandola sola. Nemmeno ventenne risponde a una inserzione matrimoniale del capitano Mac Leod in servizio in Indonesia. Si incontrano e dopo solo sei giorni decidono di sposarsi, con l’idea di partire presto per l’Oriente. 
Ma a Giava cominciano le tragedie: il primogenito Norman morirà a soli due anni, avvelenato, forse, ma si pensa anche a una somministrazione troppo concentrata di mercurio, in quel tempo utilizzato per curare la sifilide. Troppo dolore, Margaretha e il marito tornano in Europa con l’altra figlia, la piccola Non, ma per separarsi definitivamente già nel 1902. Margaretha è sola e senza soldi, la figlia è affidata al padre; a lei non rimane che tentare la sorte a Parigi; lavora come modella con scarsa fortuna. Non si arrende, cambia ruolo, e diventa amazzone di un circo. Una sera durante una festa a casa di amici, tra imprenditori, avventurieri, artisti, diventa ballerina, vestita con un piccolo reggiseno in metallo simile ai gusci di conchiglie, che si dice, non toglierà mai, accanto alle lunghe collane di perle e ai veli trasparenti, per mostrare e nascondere il suo corpo tra movimenti sinuosi e provocanti di una danza orientale. Piace, e colpisce. 
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Mata Hari in un dipinto d’epoca
Sarà Monsieur Guimet, un ricco collezionista appassionato di arte orientale a suggerirle di cambiare nome, facendola diventare Mata Hari, Luce del Mattino. 
Irresistibile, arriva il Moulin Rouge, va in tournée in Spagna, finisce a Montecarlo, si esibisce alla Scala. Racconterà di esser nata in Oriente, di essere la figlia di un principe. Scoppia la guerra, finisce la Belle Epoque, cambia  tutto e  comincia la nuova vita di Mata, la spia, nome in codice H21. Troppi amanti e troppi tavoli su cui giocare: lavora per i tedeschi e per i francesi; ha un grande amore, forse l’unico vero  di tutta la sua vita, Vadim Masslov, l’ufficiale russo di una ventina di anni più giovane, che avrebbe avuto  la stessa età di Norman, il figlio morto a Giava, che arriva a complicare il quadro. Dopo un lungo processo verrà dichiarata colpevole e uccisa, colpita da solo 3 degli 11 proiettili, uno fatale, al cuore. 
Il Fries Museum le dedica una mostra con un centinaio di oggetti, un percorso in sei sale in penombra, allestimento che ricorda la scenografia di un teatro, per dare più risalto alle piccole cose, alle poesie, alle lettere per scoprire lati meno conosciuti, più intimi di questo complesso personaggio. Si comincia con la ricostruzione della sala della prigione di Parigi, dove Mata Hari era stata interrogata per mesi, e accanto al tavolo e alla sedia, si vedono i documenti originali dell’interrogatorio. 
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Mata Hari
Poi le fotografie del periodo passato in Oriente, il diario dove annotava ogni particolare della crescita dei due figli, pagine che la fanno conoscere come una madre attenta e affettuosa. Decisamente diverso il periodo  francese: ecco esposto il costume originale della ballerina, altre sue annotazioni sugli spettacoli, accanto alle recensioni dei giornali: Mata Hari finisce anche sulla copertina di Vogue. Una sequenza di fotografie ricostruisce le sue danze, quel suo modo unico di ballare mescolando spunti e movenze orientali. 
Dopo la ballerina, è la volta della spia, tra documenti militari francesi  per la prima volta resi pubblici, che svelano che alla fine Mata Hari era una “criminale” poco preziosa. Non passa inosservata la foto del giorno dell’arresto, nel febbraio del 1917; di fronte spicca il grande quadro del pittore olandese Isaac Israels, fatto esattamente un anno prima, che incredibilmente sembra trarre spunto dalla Mata Hari di quel momento. 
Solo una coincidenza, il tempo segue le sue regole, ma rimane uno dei tanti misteri della donna colpevole di avere amato troppo, e di non aver saputo fare i conti con una realtà troppo spietata. O troppo noiosa per lei.    
Bettina Mignanego Bush

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