14 dicembre 2017

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Trentacinque anni agli Uffizi, di cui dieci come direttore. Antonio Natali vuota il sacco sul suo “Museo”
di Luigi Capano

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Il nuovo libro di Antonio Natali, Il Museo. Pagine da una stagione agli Uffizi, tratteggia, con una “silloge di testi scritti agli Uffizi e per gli Uffizi”, l’esperienza di trentacinque anni trascorsi al servizio di uno dei più importanti musei del mondo (ne è stato il Direttore dal 2006 al 2016). 
Un libro, che si rivela anche un generoso viatico, a tratti sorprendente e imprevedibile, per chi voglia accostarsi in un modo non convenzionale a questo inestimabile patrimonio della cultura figurativa europea, allestito (nel suo nucleo originario) sullo scorcio del cinquecento per illuminata volontà del principe Francesco I de’ Medici che decise di allogare una collezione di opere d’arte antica e contemporanea nell’edificio fatto costruire dal padre Cosimo, e destinato a ospitare gli uffici (gli uffizi) dell’amministrazione dello Stato. Un patrimonio, questo, che abbiamo ricevuto gratuitamente, in eredità, e che siamo tenuti a tutelare e a consegnare integro a chi verrà dopo di noi, tiene a sottolineare con marcata insistenza il brillante storico dell’arte. Colpisce d’acchito, trascorsa da una nativa vis polemica, l’elevata qualità letteraria della narrazione (un’attitudine ormai rara anche tra gli scrittori di professione), a tratti in grado di suscitare nel lettore – l’esperienza è personale – un moto animico prossimo a quel sensitivo godimento estetico che ci può sorprendere dinanzi ad un capo d’opera rinascimentale. Ma, rammenta l’autore in più punti, oltre a far vibrare le corde dell’emozione, un’opera d’arte figurativa – che occorrerebbe imparare a leggere come fosse un testo poetico espresso in immagini anziché in parole – possiede una studiata qualità intellettuale che chiede al riguardante di accostarsi lucidamente al complesso pensiero che la sottende. 
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Uffizi, Firenze
Il Museo, dunque, come occasione di studio oltre che di piacevole intrattenimento, non mero luogo di conservazione di vestigia del passato ma centro propulsore di educazione al bello, contagioso divulgatore di una cultura che sappia allacciarsi alla vita e farci consapevoli dell’attualità dell’antico. L’antichità come futuro, avrebbe laconicamente sentenziato un filosofo a noi caro e ingiustamente negletto, Rosario Assunto. La drammatica alternativa sarebbe – ed è – un untuoso e ipnotico feticismo ovvero un dissacrato culto di incomprensibili reliquie. Già secoli addietro Giuseppe Pelli Bencivenni, direttore degli Uffizi dal 1775 al 1793, esortava a frequentare i musei perché in tal modo “l’occhio si avvezzerebbe a trovare il bello” ed a cercarlo e promuoverlo anche nella vita. Di continuo, nel libro di Natali, l’etica incontra la bellezza in un’alleanza feconda che se coltivata potrebbe imprimere una svolta epocale al nostro futuro. Ma l’educazione estetica, perché sia fruttousa, dovrebbe necessariamente coinvolgere anche – e soprattutto – le alte sfere della politica. Ci sovviene di quel novello “Braghettone”, ma verosimilmente privo della consapevolezza artistica di Daniele da Volterra – rimasto pavidamente anonimo – che, circa un anno fa, ha pensato bene di occultare, con dei pannelli bianchi, i nudi scultorei dei Musei Capitolini per tema che un ospite istituzionale, di fede islamica, potesse adombrarsi.
Luigi Capano

Il museo. Pagine di una stagione agli Uffizi
Silvana Editoriale, 2016
pagg. 277
euro 14

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