14 dicembre 2017

Una storia di tutti. A Ferrara apre il Museo dell’Ebraismo italiano e della Shoah

 

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«Un capolavoro di integrazione e identità». Queste le parole espresse da Sergio Mattarella al termine della visita al MEIS-Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, che apre al pubblico oggi, 14 dicembre, con la mostra inaugurale “Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni”, a cura di Anna Foa, Giancarlo Lacerenza e Daniele Jalla, realizzata con il sostegno di Intesa Sanpaolo. Il nuovo museo è stato allestito nell’Ex Carcere di Ferrara che, «ristrutturato in modo impeccabile, da luogo di segregazione e di esclusione quale è stato per tutta la durata del Novecento, specie negli anni bui del fascismo, diventa centro di cultura, ricerca, didattica, confronto, dialogo e inclusione», ha commentato il Presidente del MEIS, Dario Disegni. Il museo fu istituito già nel 2003, con una proposta di legge firmata da tutti i capigruppo di maggioranza e di opposizione, e poi con voto unanime del Parlamento, con lo scopo di narrare la storia e la cultura dell’ebraismo italiano. Oggi, terminati i lavori di restauro, il museo trova uno spazio permanente, un luogo in cui può essere raccontata questa storia drammaticamente reale e sconosciuta ai più. «E proprio a Ferrara il MEIS doveva sorgere – ha spiegato Dario Franceschini – perché la città è profondamente legata alla propria comunità ebraica, vanta una tradizione di apertura verso gli ebrei ed è tuttora, nell’immaginario collettivo, il luogo del Giardino dei Finzi-Contini e di Giorgio Bassani, che nel ghetto insegnava ai bambini espulsi dalle scuole con le leggi razziali e le cui spoglie sono ospitate in quel luogo magico e sospeso che è il cimitero ebraico. A Ferrara l’ebraismo si respira nelle strade, nelle pietre, nella cucina e ora al MEIS, con un racconto cronologico che accompagnerà l’intero progetto museale, integralmente finanziato dal MiBACT». Ma i lavori non sono ancora terminati, perché è prevista la costruzione di altre strutture moderne, da completarsi entro il 2020. Nello specifico della mostra, Jalla ha precisa di aver voluto «ribaltare una regola dei musei tradizionali, quella di presentare degli oggetti contestualizzati. Qui, al centro, ci sono i contesti, mentre gli oggetti sono strumenti per ricostruirli, capirli e immaginarli. Come affermava Marc Bloch, la storia sono gli uomini nel tempo». 

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