27 dicembre 2017

Tutto su Mimmo Paladino

 
Germano Celant, Mimmo Paladino, Skira editore

di

Personalmente amo molto la tipologia di libri come quella del caso odierno. Un libro introdotto da un rigoroso saggio storico-critico monografico (di Germano Celant “Le costruzioni di Mimmo Paladino”), seguito da una cronologia (di Germano Celant e Diletta Borromeo) ampia, puntuale, esaustiva, che attraversa l’intero percorso biografico e artistico dell’artista (nel caso di specie di Mimmo Paladino) e comprende un insieme iconografico corredato dalle sue dichiarazioni poetiche.
A tale complesso e ricco materiale seguono, alla fine del volume, gli apparati, costituiti dagli 
elenchi di esposizioni e progetti speciali, bibliografia di e sull’artista.
Si parte, pertanto, innanzitutto dai fatti. Dalla storia si passa all’analisi critica di un percorso di ricerca artistico. Tutti elementi che fanno del nostro libro un’opera universale, di interesse per studiosi, studenti, galleristi, collezionisti. Insomma, una pubblicazione di riferimento nella congerie elefantiaca di titoli che connota la produzione bibliografica su Paladino. Che vanta, tra l’altro, già anche una serie di cataloghi generali tematici della sua opera.
Scrivere di Mimmo Paladino vuol dire evocare, innanzitutto, la transavanguardia, il movimento “made in Italy” nato tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta contraddistinto da una posizione di superamento del puro materialismo di tecniche e nuovi materiali di marca informale e pop. Il gruppo, costituito da personalità assai eterogenee (oltre al Paladino, figurano Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Nicola De Maria) approda al recupero della pittura, intesa come capacità di restituire al processo creativo il suo carattere di culto della bellezza, la cui immagine esteriore non risulta più privata del piacere della rappresentazione, dell’opulenza e della narrazione. 
Secondo quanto ha affermato Achille Bonito Oliva, ispiratore del movimento, con la transavanguardia «l’arte finalmente ritorna ai suoi motivi interni, alle ragioni costitutive del suo operare, al suo luogo per eccellenza che è il labirinto inteso come “lavoro dentro”, come scavo continuo dentro la sostanza della pittura». Così la personalissima pratica svolta da Mimmo Paladino di attraversamento delle esigenze più rarefatte della tradizione fa affiorare, già nelle sue prime opere, il denso equilibrio tra classicismo e naturalismo dei mosaici pompeiani, l’inquietudine metafisica delle muse dechirichiane, la solenne ieraticità dei fondi oro medievali, la luce nelle rispettive declinazioni di Paul Klee e Wassily Kandinsky, la purezza scultorea di Arturo Martini. E ancora, l’immediatezza e la gioia dei dipinti di Henri Matisse, le maschere essenziali di Pablo Picasso e l’incarnazione spirituale di Alberto Giacometti. La bellezza per Paladino è come un castello con molte stanze sconosciute colme di quadri, sculture, mosaici, affreschi che si scoprono con meraviglia nel corso del tempo. 
L’ordito delle sue figurazioni è tessuto secondo la liturgia di una bellezza misterica, autoreferenziale, che promana in forma affatto vincolante dal suo genius loci, dal suo territorio antropologico dove ha messo radici la sua infanzia, Benevento. Da questo vulcanico entroterra concettuale si è sviluppata la personalissima iconografia di Paladino che intreccia, su una struttura spesso centrale, figure umane dalle tipiche teste ovoidali e calve, danzanti, quasi a inscenare un mimo arcano. Lo spazio dove si svolge l’azione è il sipario di un teatro, aperto ogni volta su una fitta foresta di simboli. Elementi sviluppati sotto lo sguardo familiare e immaginario dell’artista e il lento incedere della sua mano, a recitare un copione dove risuonano gli intimi echi della memoria di un’epopea personale, trasferiti nella dimensione del presente. L’artista ha spesso ricordato di lavorare come immerso nel sonno e, soprattutto, in un silenzio mentale che gli favorisce un’alterazione delle ragioni, un loro corto circuito di cui l’opera rende frequentemente la forza della bellezza con l’emergere dei segni dei timori, dei ricordi e dei desideri. Le opere di Paladino, tuttavia, si guardano bene dall’evolversi seguendo le suggestioni della bellezza disarticolata dei surrealisti. Meglio quella strutturata, lungi da ogni automatismo di impronta magrittiana, solidamente presente come avviene nelle icone dell’Est, e nelle pitture di Giotto come di Piero della Francesca. (Cesare Biasini Selvaggi)

Germano Celant
Mimmo Paladino
Skira editore
2017, edizione italiana e inglese
21 x 28 cm, 736 pp.
793 colori, cartonato
€ 75,00
 

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