06 gennaio 2018

Un Presepe a Palermo. Tra personaggi siciliani e globali, e pittura contemporanea

 

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La Natività di San Lorenzo dipinta da Alessandro Bazan tra  novembre e dicembre del 2017 è stata collocata la notte del 24 Dicembre 2017 in una cappella laterale dell’Oratorio di San Lorenzo a Palermo. 
L’Oratorio è tristemente famoso per il furto della tela di Michelangelo Merisi da Caravaggio avvenuto in una notte d’ottobre nel 1969. La tela del Caravaggio sovrastava l’altare maggiore e raffigura la Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi del (cm 298 x 197), venne dipinta nel 1609. L’aula che accoglieva l’opera fu invece decorata nel 1699 da Giacomo Serpotta, con le statue raffiguranti le Virtù e otto teatrini sulle pareti che introducono le storie di San Francesco e San Lorenzo. Questo luogo isolato nella sua sontuosità dalla piazza poco distante, è un trionfo di spumeggiante barocco siciliano, tracima di stucchi che sembrano scolpiti da Serpotta nella schiuma da barba, popolato di personaggi che animano con pose cortesi questo luogo che sembra essere la metafora della contraddittoria realtà siciliana dove convivono fasto e grettezza, ironia tragicomica e arroganza dell’autarchia intellettuale. 
Quell’altare, che avrebbe potuto far rivivere la freschezza dell’arte contemporanea nella sua più salutare spavalderia, è oggi sovrastato da una copia del quadro di Michelangelo Merisi quasi si volesse in questo modo nascondere lo scorno con la menzogna. Sta di fatto che l’opera di Bazan, relegata in un luogo marginale, sembra trarre giovamento proprio da questa collocazione defilata poiché quest’ambiente raccolto permette di avere una visione del quadro intima e ravvicinata, lontana dalla vistosa e gesticolante platea degli stucchi candidi di Serpotta. L’opera, delle stesse dimensioni della tela del Caravaggio, è l’ultima di una serie di Natività fatte nel periodo di Natale da artisti contemporanei per l’Oratorio di San Lorenzo. Inaugurata dal mitico Laboratorio Saccardi, il dissacrante gruppo di artisti siciliani molto in voga nel primi Duemila, l’appuntamento annuale con il tema della Natività  giunge con il  Presepio di Bazan al completamento di quella che è di fatto una trilogia che,  a distanza di tempo, ha visto confrontarsi tre esponenti della Scuola di Palermo: Francesco De Grandi, Fulvio Di Piazza, e appunto Bazan. Tornando alla tela, è un olio che sarebbe meglio considerare  alla stregua di un presepio tanto i personaggi appaiono canonicamente distribuiti come statuine caratteristiche intorno alla Santa culla. Questi sono, da sinistra a destra: Louis Armstrong, Frank Sinatra, una provocante Billy Holiday, più arretrato si muove un personaggio con un asino, è Piddu, personaggio dell’infanzia di Bazan, poi, alle spalle della Sacra Famiglia  due giovani donne, una mora e una bionda che sembrano intrecciare gesti e muliebri sorrisi dall’alto in basso sino a Maria vergine, sono forse le tre Marie? Queste donne introducono la figura di destra, ossia una Giuni Russo dai capelli rossi. 
Via via a scendere incontriamo uno scarmigliato personaggio pasoliniano vicino alla figura trasandata del drammaturgo Franco Scaldati e, dopo un uomo di spalle che chiude lo spazio della mangiatoia, troviamo isolato un giovane seduto a terra dal capello fulvo e scintillante che ricorda il san Giuseppe caravaggesco.  Al centro il nucleo sacro di Maria, San Giuseppe e il Bambinello che nei tratti assomiglia vagamente al collezionista d’arte  Galvagno. Il soggetto centrale della scena sacra però è un piccolo uccellino che brilla tra le mani di un effeminato donatore sorridente nei cui tratti alcuni hanno scorto lo showman siciliano Ernesto Tomasini. Questo personaggio offre al biondissimo infante un cardellino che sembra funzionare da perno dell’intero ingranaggio scenico come il mozzo di una ruota. La scena si svolge un basso Palermitano, un garage illuminato da una luce elettrica dove una vecchia auto abbandonata sembra fondersi con un muro scrostato. Fuori, in alto a destra, s’apre una finestra su una città moderna forse quella Palermo del famoso “Sacco” dell’edilizia mafiosa, una città sotto un manto di stelle tra cui brilla una cometa fatta con un semplice striscio di pennello. Guardando con più attenzione, affrontando la dovizia di particolari, scorgiamo, in quel muro che sembra risucchiare la carrozzeria dell’auto inerte, una stesura intrecciata di bruni, gialli, verdacci e punte d’arancio, non una buccia scabrosa ma  piuttosto una melma fluida, è lo sfondo che spinge le figure al contrasto. Sono queste delle figure sonore, fiamme astratte di colore,  caricature dinoccolate che partecipano, ciascuna a suo modo, alla festa. 
La Vergine Maria è un’amorevole giovane madre siciliana, mentre San Giuseppe si tiene in disparte ritorto nella sua problematica paternità. La ritmica degli astanti è, quindi, ternaria, s’è detto che sono disposti come statuine e come statuine ricalcano il proprio ruolo di personaggio. Tre sono i grandi del Jazz, tre sono gli enigmatici sostenitori dell’infanzia,  il ricordo rappresentato dalla figura di Piddo è la promessa del dono della vita che la natura fa col miracolo della nascita, la rivelazione di un’esistenza. Palermo sembra restar fuori dalla finestra e disporsi lontana ma pronta a far entrare  i suoi figli illustri: la cantante Giuni Russo, il regista e scrittore Franco Scaldati che forse indicano l’assenza tra loro dello stesso Bazan.  A scendere quell’uomo di spalle, che attua una resezione dello spazio del giaciglio da cui scende come una lingua un tappeto rosso che spinge lo sguardo più in basso distante dal gruppo principale dove una natura morta di arance è un semplice, isolato, concentrarsi di cerchi  La chiave però sembra proprio essere il cardellino, portato a due mani alla luce, un piccolo uccellino che è di per se un saggio di pittura, ma cosa significa? Il nome dell’uccellino deriva dal cardus, la pianta di cardo, pianta prediletta dall’uccellino mentre l’apparentamento tra questa pianta e il musetto rosso è alla base del simbolismo cristiano: il cardo, con le sue spine, indicherebbe i dolori della Passione. Tre uccelli, il cardellino, il pettirosso e il fringuello, alleviarono le sofferenze di Cristo, staccando una ad una le spine della corona:  tutti e tre ferendosi colorarono di rosso i loro piumaggi; il cardellino ebbe così la sua testolina rossa cremisi. Stilisticamente la Natività di San Lorenzo di Alessandro Bazan è contemplabile nel novero della pittura figurativa italiana degli anni Novanta, cioè quando insieme a Fulvio Di Piazza, Francesco de Grandi e Andrea De Marco (m. 2012) cominciò un’avventura pittorica all’insegna di un realismo scombinato, cinematografico, in parte fumettistico, modellato da veloci pennellate roride e dure di ascendenza neo – espressionista, alcuni critici, infatti, ci hanno visto una vicinanza a Rainer Fetting. Oggi Bazan interpreta a suo modo la luce incendiaria che troviamo anche in Di Piazza e De Grandi la formula con tinte sature sospese nella trama figurativa come tasselli astratti, dirompenti e liberi nel contrasto con le tinte terragne e ocra. Particolari fiammeggianti che sembrano volersi liberare dalle costrizioni della figura. Qui Bazan incontra  alcune soluzioni che notiamo anche in alcune opere di Marco Cingolani pittore che è stato per breve tempo collega di Alessandro all’Accademia di Belle Arti di Palermo, ma il Cingolani cui mi riferisco è un pittore che ha subito in un certo modo l’ambiente siciliano visibile, per intenderci, del quadro degli “Amici al Garraffello. L’incendio di cuori”, (2003 olio su tela, 200x200cm). È chiaro, insomma, l’intreccio di influssi ma un intreccio  indifferente alle citazioni ma insito nella pittura. È perciò evidente che, se Bazan negli anni Novanta faceva eco a una narratività fumettistica illustrata secondo i modi della “Bad Painting”, ora dobbiamo rileggere la sua pittura proprio in virtù di un nuovo modo, a mio avviso tendente all’astratto, di far coincidere l’impianto complessivo o la composizione con l’episodio cromatico. Dobbiamo allora localizzare queste emergenze nel tessuto figurativo, scandagliando la scena alla ricerca di questi  “Nodi Pitturali”, se mi si permette il neologismo. Sono  nel muro, nel cardellino, nei capelli di paglia del personaggio seduto, nel cappotto di cammello di Scaldati, e sono saggi di pittura estremamente concentrata e svincolata dal giogo della figura. La troviamo anche nelle finestre colorate del palazzo che si scorge fuori, il primo a sinistra, dove misteriosa cascata di luce scende come un velo. Questo modo di sconvolgere gli assetti governati da segno e  disegno tramite il colore  accompagna l’elaborazione di questa tela d’altare che io ho visto progressivamente formarsi strato dopo strato. Bazan di fatto interpreta  la destinazione a un culto, misurandosi con il genere  antico.  Antico, infatti, è il modo con cui Bazan ha steso i verdacci sotto gl’incarnati e tirato le pennellate che scuotono il disegno un modo che sembra provenire da lontano, forse addirittura da Jacopo Robusti. 
La pittura  di Bazan, a questo punto, è contemporanea proprio nel momento in cui più s’avvicina all’antico, ossia quando si ribella al vincolo col presente, voltando le spalle a ogni prospettiva di fallimento, fuggendo al dovere di cronaca. La Natività  di Bazan ascrivibile alla produzione recente mette al centro una processualità come ha ben visto Sergio Troisi nel 2016 nel catalogo che accompagnava una mostra di Alessandro Bazan al Convento del Carmine di Marsala. Troisi è forse il primo a emancipare la pittura di Bazan dalla morsa generazionale, il primo a toglierla dall’assedio del dato giovanilistico serrato in determinati  stereotipi immaginativi, infatti dice a tal proposito: ” Tutte indicazioni corrette e comunque parziali, utili per individuare e descrivere un clima culturale, meno per rendere conto di una esperienza il cui movimento relazionale, pur ellittico quanto si voglia, è tutto giocato all’interno dei codici della pittura, della sua storia e della tradizione dell’arte italiana”. Proprio questo messaggio trasuda dall’impasto del muro della grotta garage del presepe di Bazan, brilla nelle pennellate strette e veloci delle penne del Cardellino, nei bianchi accecanti dei sorrisi, nelle piane stesure delle vesti. Non fermiamoci pertanto alla grottesca fisionomia dei personaggi  e tanto meno alla genericità della scena, cerchiamo invece ciò che è originato dalla pittura e che della pittura rimane all’origine. 
Oggi Bazan raduna  improbabili personaggi in un garage palermitano nella Santa Notte, questi sono null’altro che un pretesto per parlare dell’ineguagliabile luce del seicento e della sontuosità scomposta dei Bamboccianti. (Marcello Carriero)

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