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Ce lo stavamo chiedendo un po’ tutti. Dopo qualcosa come Treasures from the Wreck of the Unbelievable, cosa avrebbe potuto fare Damien Hirst? Dopo aver sbancato i numeri delle presenze a Palazzo Grassi e Punta della Dogana, fatto incetta di citazioni su ogni tipo di media, incassato entusiasmi e critiche, pubblicato un autorevole mockumentary sulla più diffusa piattaforma dedicata alla filmografia, insomma, una volta toccate tutte le possibili definizioni del termine colossale, dove sarebbe andato a parare il prodigioso artista britannico? Qualcuno avrà pensato a un canto del cigno, un maestoso e consapevole volo icariano verso il sole. Qualche altro gli avrà augurato un periodo più o meno lungo di meritata vacanza. E invece, Hirst non solo non rimane a specchiarsi nelle acque di qualche limpido mare tropicale ma rilancia con un altro, affascinante progetto, che sembra procedere in direzione opposta, una pacata meditazione dedicata al suo decennale percorso artistico e incentrata su misure particellari, si potrebbe dire.
Il 25 marzo, nella Houghton Hall di Nortfolk, una country house fatta costruire nei primi anni del ‘700 dal primo ministro britannico Sir Robert Walpole ed esempio di architettura palladiana, aprirà Color Space Paintings and Outdoor Sculptures, mostra a cura di Mario Codognato, nella quale saranno esposti i nuovi dipinti della storica serie degli Spot Paintings, iniziata negli anni ’80 e ancora in corso. Dopo che, nel 2012, Gagosian espose 331 opere della serie, in tutte le 11 gallerie sparse per il mondo, una completissima retrospettiva su uno dei temi visivi più iconici di Hirst. Un certo gusto per l’eccesso comunque rimane, visto che, per esempio, è stato calcolato che ci saranno ben 4 milioni di macchie puntiformi, di 6mm, 10mm, 25mm, 50mm, 75mm e 100mm, disegnate su mille tele di diverse dimensioni dal suo team di assistenti tra Devon, Londra e nel Gloucestershire. «Non ci sono ancora due colori uguali che si ripetono, il che è molto importante per me. Li considero cellule al microscopio. Sembrava giusto mostrarli in un luogo storico piuttosto che nello spazio convenzionale di una galleria e Houghton è perfetto».
L’approccio, pur sempre esuberante, è calmierato da un tono scientifico e rigoroso, una produzione imponente ma corrispondente a un risultato tranquillizzante, giocosamente minimalista, facilmente digeribile anche da strati di mercato più trasversali. Il contrario della resa magniloquente e decadente, per certi versi addirittura sperimentale, in ogni caso dichiaratamente spiazzante, della mostra a Venezia. Comunque, anche per questa volta, possiamo azzardare l’ipotesi che si tratterà di un successo, in qualunque modo si voglia interpretare questa parola. (mfs)
In alto: Damien Hirst, English Lilac (2016). Damien Hirst e Science Ltd