19 gennaio 2018

La versione di Giorgio de Finis

 
Dopo le accese polemiche e un plauso silenzioso, a seguito della nomina al MACRO, ecco una lunga intervista con il nuovo direttore-curatore del museo romano di via Nizza

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Dallo scorso 22 dicembre è ufficialmente il direttore di “Macro asilo”, il progetto sperimentale che sarà ospitato dal Museo di arte contemporanea di Roma fino alla fine del 2019. Parliamo di Giorgio de Finis, ideatore del MAAM, “bersaglio” della Capitale del contemporaneo ma sostenuto da più parti in questo ruolo, a partire dall’Amministrazione Comunale fino ai suoi artisti. Ecco cosa ci ha raccontato dei suoi progetti, delle sue idee e anche del futuro del museo, in questa lunga intervista, di cui troverete anche una seconda parte, inedita, su Exibart.Onpaper 99, in distribuzione dal 1 febbraio ad ArteFiera di Bologna.  
Lei si definisce un artista che si trasforma in un curatore per necessità nel corso del lavoro. Può dirci chi è oggi, secondo lei, un artista? E chi è un curatore?
«Artista è chi decide di chiamare “arte” quello che fa. In che altro modo Duchamp avrebbe potuto trasformare un orinatorio in una fontana? Io invento dispositivi corali che prevedono la partecipazione di altri artisti. Per farli funzionare mi metto ogni volta a disposizione delle esigenze della “macchina relazionale” che costruisco, e quando lo faccio dico, per facilità, che faccio il curatore, parola che in verità non amo, perché può indurre a pensare all’anomalia dell’artista in termini di patologia. I musei, con i loro “ordinamenti” spesso assomigliano ad un ospedale con i suoi reparti».
L’autolegittimazione e l’autotitolazione sono, secondo lei, il fondamento della nuova teoria istituzionale dell’arte di oggi? 
«Le istituzioni tendono per loro natura a irrigidirsi, a dire cosa si può o non si può fare. In questo non potranno mai veramente sperare di stare al passo con l’arte e con la ricerca. “Macro asilo” proverà comunque a ripensarla l’istituzione, perché anche le istituzioni, in quanto prodotti umani e non calati dal cielo, si possono riformare. Per quanto riguarda l’autolegittimazione mi pare quasi una banalità dire che il primo che si deve autolegittimare è l’artista stesso (è sempre stato così), e che solo in un secondo tempo a questa autoaffermazione segue (se segue) un riconoscimento da parte della collettività (quella degli addetti ai lavori, del sistema, del pubblico). Alla fine c’è sempre qualcuno che deciderà se aprire o chiudere la porta, ma questo non riguarda “Macro asilo” che appunto vuole trovarsi al di qua, al prima, all’origine, all’arte che è ancora altra cosa, concettualmente parlando, rispetto al sistema dell’arte. Ci sarebbe stato Van Gogh senza l’autolegittimazione?».
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Macro, Via Nizza
In conferenza stampa il vicesindaco Bergamo ha dichiarato che il budget per il “Macro asilo” sarà di 800 mila euro. Come saranno impiegati? Quali sono le voci di spesa del suo budget? 
«800mila euro vuol dire quattrocentomila euro l’anno. Il budget è lo stesso di quello messo a disposizione negli anni precedenti, e serve sostanzialmente a tenere aperto il museo. Il resto lo facevano le gallerie, finanziando le esposizioni. Io non potrò contare su questo tipo di aiuto, perché non farò mostre. E non farò neanche il manager di “Macro asilo”».
Questa somma comprende anche il suo compenso, a quanto ammonta? 
«Il mio compenso è di tremilasettecentocinquanta euro al mese. Il tuo?».
Ha in mente un team dal quale farsi affiancare? Qualche nome e con quale incarico?
«Avrò una piccola redazione giornalistica che mi aiuterà nel difficile compito di restituire un palinsesto giornaliero. Un paio di validissimi assistenti. Una segreteria. E poi l’aiuto di tutti coloro, artisti, specialisti, curatori, altro, che si faranno carico dei progetti che accoglieremo. Ognuno sarà responsabile e firmerà il suo pezzo di programma».
Quando inizieranno le attività? Qual è il cronoprogramma?
«Le attività inizieranno il primo ottobre (anche se è un lunedì, giorno di chiusura settimanale del Macro). Il cronoprogramma lo comunicheremo a suo tempo, perché, come è ovvio, ci stiamo lavorando. Ci saranno gli artisti nello spazio Atelier, le tante ricerche, promosse e ospitate, con incontri calendarizzati, un’opera di videoarte a loop ogni giorno, performance, presentazioni di libri, rassegne, molte opere partecipate, e le lectio magistralis del fine settimana, coi protagonisti  dell’arte e della critica invitati a incontrare la Roma che frequenterà questo museo vivo».
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Macro, Via Nizza
Per i relatori invitati alle lectio magistralis è previsto un gettone? Di quanto? 
«Il gettone sarà poco più che simbolico. Copriremo le spese di viaggio e di soggiorno».
Tutti gli altri eventi dovranno essere autofinanziati dai proponenti? Ci sono dei limiti alla sponsorizzazione degli eventi? 
«Sto cercando di immaginare un museo “leggero”, che possa funzionare anche con risorse limitatissime. Gli interventi più pesanti proveremo a realizzarli cercando collaborazioni e unendo le forze anche con le altre istituzioni invitate ad aiutarci, università, accademie straniere, biblioteche, etc.».
Il suo progetto di asilo prevede che ognuno possa mostrare la propria arte, purché “autocertifichi” il proprio status di artista. In questo suo programma è stata accantonata, pertanto, l’idea di selezione e la scelta da parte di una persona “specializzata”. Insomma è stata spazzata via la figura del curatore/critico. Che cosa si potrà dire o insegnare d’ora in avanti agli studenti delle università e delle Accademie di Belle Arti, quando ogni meritocrazia artistica e qualsiasi coscienza storica appaiono annullate?
«Non mi pare che dire che per fare l’artista non ci vuole la “patente” cancelli il valore dello studio, o spazzi via la figura dell’esperto, sia esso storico dell’arte o cultore di altre discipline (di arte possono parlare anche gli antropologi, i sociologi, i mass-mediologi, i filosofi, i semiologi, gli psicologi, gli psichiatri, gli economisti, i cineasti, i romanzieri, ecc.) di cui avremo grande bisogno anche a “Macro asilo”. Se non si fosse capito, ribadisco che per me lo studio è centrale, e non finisce mai. Ma non vedo perché all’artista non vada riconosciuta la capacità di parlare e di pensare. Al “Macro asilo” ognuno risponde di sé. Si tratta di un museo dove tutti sono adulti! E vaccinati! Il bambino, se c’è, è il museo stesso, il museo nuovo, di cui tutti dobbiamo prenderci cura collaborando. Gli altri rispondono in prima persona di quello che dicono e fanno. L’apertura a tutti è proprio il contrario della negazione della meritocrazia, perché è evidente che il mio tipo di museo non protegge nessuno a valle, proprio perché non giudica nessuno a monte. L’autocandidatura è soprattutto una presa in carico degli artisti nei confronti del museo in quanto “spazio pubblico”, casa comune; ognuno poi entra con la propria storia, i propri successi, le proprie sudate medagliette, che non ho la minima intenzione di misconoscere».
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Macro, Via Nizza
Come sarà strutturato il “Macro asilo”? Si parla di una serie di stanze? Quante saranno? Cosa avverrà in queste stanze? Avranno un nome?
«Il “Macro asilo” è un museo da “abitare”. Sto lavorando con l’architetto Carmelo Baglivo a creare spazi confortevoli dove stare e lavorare. Il Macro dovrà essere in qualche modo “arredato”, anche se molti degli “arredi” che sceglieremo per Macro asilo saranno opere d’arte (penso al tavolo del Mediterraneo di Michelangelo Pistoletto o al Tappeto volante di Stalker). Progetteremo un box per gli artisti che lavoreranno live, una sorta di sala “controllo” dedicata a “Rome” (nome plurale di città), una stanza dedicata alle “parole”, al lavoro che faremo provando a riscrivere un dizionario del contemporaneo. Ci sarà una stanza dedicata alla radio con un set per le interviste video, e poi le project room, stanze d’artista della durata di un mese, che dovranno però contenere un “programma”, ospitare, oltre se stesse, anche un ciclo di appuntamenti, incontri, riflessioni, performance; dovranno essere vere e proprie stanze-dispositivo. Attiveremo anche la terrazza nei mesi estivi. E naturalmente ci saranno anche spazi liberi, dove semplicemente stare e incontrarsi, come gli artisti solevano fare un tempo adottando un caffè. Una volta definito il progetto ci confronteremo con Odile Decq, che vorrei fosse con noi il giorno dell’apertura».
Assodato che non saranno più presenti mostre temporanee, ma un programma giornaliero di eventi, che tipo di eventi si susseguiranno?
«Mi pare in parte di aver già risposto. Ogni giorno ci saranno decine di attività che tutti potranno seguire, tempo permettendo, perché saranno gratuite. La mezz’ora di “ginnastica” al mattino, con esercizi corporali e/o spirituali, finalizzati ad attivare i neuroni specchio e predisporre al lavoro insieme, gli incontri proposti dalle singole ricerche, le lezioni magistrali, le performance, le rassegne video, le presentazioni di libri, le opere partecipate e i dispositivi relazionali, progettati e ospitati».
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Maam, Canemorto Emajons
Quali artisti o, comunque esponenti del sistema dell’arte e della cultura intende invitare? Può farci qualche nome? Ha già avuto delle conferme ai suoi inviti? C’è chi ha già declinato il suo invito?
«Top secret. Metteremo a frutto anche i dinieghi. Il nostro è un museo trasparente. Tutto sarà messo in mostra e sarà occasione di riflessione».
Quando e come avverrà la call per le autocandidature degli artisti? E per tutti gli altri che volessero presentare un progetto?
«In questi mesi incontrerò il maggior numero possibile di artisti. Con ognuno discuteremo cosa fare e come farlo. L’appello è un gioco performativo, serve a metterci la faccia, a dire ci sono. Presente!».
Parlando della collezione del MACRO, come intende esporla? Dove? Chi curerà l’esposizione? 
«Farò tesoro della bella collezione del MACRO provando a tirarla fuori dal magazzino. La mia idea è di  realizzare, con una parte di essa, una grande installazione unica, cielo terra, come le quadrerie del passato, per dire, anche così, che al Macro asilo gli artisti collaborano, facendo tesoro delle differenze».
Ha detto di voler mettere insieme opere della collezione con gli “artisti” che lavoreranno nel museo. Non le sembra una mancanza di rispetto nei confronti dei grandi artisti che costituiscono la collezione?
«Non ho mai detto questo, perché nessuna opera che si farà nel museo sarà poi esposta una volta ultimata. In ogni modo, anche fosse, non vedo di quale mancanza di rispetto si tratterebbe. A meno che voi non pensiate, cosa che mi pare implicita nella domanda, che ospiteremo solo artisti scadenti o non-artisti! Sapete già quali artisti aderiranno al progetto? Non è un po’ prematuro il vostro parere di “esperti”?».
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Luca Bergamo, assessore alla Crescita culturale, in visita al Maam
Ha annunciato che ci saranno periodiche iniziative editoriali. Che tipo di prodotti ha in mente?
«Una rivista zibaldone di centinaia di pagine a numero e numerose collane di libri, un grande catalogo degli artisti che avremo ospitato live, un catalogo della videoarte presentata nel corso dei 15 mesi, un catalogo delle performance, il dizionario del contemporaneo con voci enciclopediche corali che saranno il frutto di decine di incontri, etc. Devo continuare?».
Quali sono le strategie di comunicazione a cui sta pensando per raccontare il suoi 15 mesi di “Macro asilo”?
«Social, web radio e web tv, e molte pubblicazioni scientifiche, come ho appena detto. Forse anche un film-documentario. Questo quello che produrremo noi. Poi ci siete voi…la stampa specializzata, i quotidiani, i settimanali…sempre che troverete interessante quello che faremo».
Non trova che, per dar seguito al suo progetto “Macro asilo”, sarebbero stati più congeniali gli spazi del Mattatoio e della Pelanda?
«Assolutamente no. A me serviva un salotto buono. Facile da raggiungere, centrale, ben riscaldato! Il mio dispositivo parla alla città, non è un progetto “alternativo”, underground, “giovane”. “Macro asilo” è un’eccellenza, visto che riunirà tutti gli artisti e le intelligenze che operano nella Capitale, e non solo».

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Big Rocket – il razzo per andare sulla luna Foto Luca Ventura

Un museo è un organismo complesso con un progetto ben definito, una struttura permanente, formato da dipartimenti, da esperti e curatori, che acquisisce, cataloga, conserva, ordina ed espone beni culturali, stimolando il confronto attraverso l’esposizione di realtà che aprono al mondo e non solamente al locale. Il MACRO è nato per essere museo in senso stretto. Qual è il senso di disattivare le funzioni? 
«Non disattiviamo nulla, semmai attiviamo! La nostra sarà la prima vera (auto)mappatura degli artisti che lavorano a Roma. Esperti e curatori ce ne saranno in quantità (non sotto forma di staff, ma nella veste di co-curatori di fatto del progetto). E sul piano del confronto col mondo non credo che avremo rivali».
Sente un po’ il fiato sul collo da parte di Roma?
«Non direi che quelli che hanno alzato pregiudizialmente gli scudi rappresentino Roma. Forse qualche orticello. O qualche salotto».
La critica che, fino a oggi, l’ha più ferita?
«Non mi ferisce nessuna critica, checché se ne dica o scriva. Le critiche serie alimentano il dibattito, quelle rabbiose mostrano il vero volto e gli interessi egoistici di chi le esprime. E già sono parte di quel meccanismo di auto-candidatura che propongo (ci si può auto-candidare anche col segno meno!)».
E, invece, qual è il sostegno ricevuto, a seguito della conferenza stampa, che più l’ha sorpresa?
«Molti di coloro che mi sostengono non hanno preso parte al dibattito. Penso che non ne sentissero l’urgenza, e si sono dedicati alle festività natalizie. C’è da dire che abbiamo promesso un museo vivo, e aver avviato il dibattito (anche se mi auguro che in futuro possa avere un livello più alto) mi pare già un ottimo risultato».
Cesare Biasini Selvaggi

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