05 febbraio 2018

OUTSIDER

 
La forma della contorsione: terzo appuntamento con Kuffjca Cozma
di Marcello Francolini

di

Cozma è nata nel 1962 da madre rumena e padre russo. Fino a 16 anni vive in Romania e poi torna nella sua città natale, dove termina gli studi e si diploma in Contabilità. Nel frattempo è costretta dalla famiglia a lavorare per ragioni economiche. Suo padre, che è tornato a vivere con sua madre, decide che la loro figlia deve lavorare per le Ferrovie dello Stato della Moldavia. La sua vita cambia improvvisamente all’età di 23 anni, nel 1985, mentre lavora sul treno per Chişinău: all’apertura della porta è coinvolta nella collisione tra una locomotiva e un altro treno. L’incidente la conduce tra la vita e la morte, causandole lesioni fisiche permanenti. Il trauma la ferisce anche psicologicamente e Kuffjca passa la sua seconda vita – sostenuta dalla pensione di invalidità – in solitudine, all’interno di un piccolo appartamento a Tiraspol, dove vive attualmente. Il disegno diventa per lei un’attività, alla quale all’inizio non dà grande importanza. I segni sempre più ripetitivi e intensi tracciano naturalmente le linee del suo pensiero, una costante con la sua vita. Mentre la consapevolezza di essere apprezzata da qualcuno per il suo “personaggio” di artista marginale e autodidatta cresce, Kuffjca riempie di recente ancora di più le sue opere. Ora sta costruendo forse il suo futuro e possiamo capire il cambiamento che sta prendendo il sopravvento, oltre al suo irresistibile impulso nel disegnare nuove forme astratte, anche nel passaggio ad altre tecniche e materiali.
Kuffjca Cozma, sembra continuamente contorcere le proprie forme, o meglio ancora scegliere la contorsione come mezzo della propria forma. Ciò è deducibile dalla risposta della stessa artista a chi gli domanda dei suoi disegni, quando afferma: «Io non ho mai l’ispirazione, io ho voglia di disegnare quando sono sveglia, e vedo il disegno quando l’ho finito, non prima». 
D’altronde nei vorticosi andirivieni delle sue linee dei suoi segni le forme appaiano come delle presenze quasi fantasma, come lo stesso luogo in cui l’artista vive: Tiraspol, che è la Capitale della Transnistria, un territorio di fatto indipendente della Moldavia.
null
Kuffica Cozma, Untiled, Matite e Pennarello rosso su carta, 2016
Il tempo è stagnante nella cittadina, ancora intrisa di tutta la simbologia monumentale del comunismo; così la dimensione quotidiana diventa una presenza marmorea, letteralmente la si può toccare: «Poi l’imbuto della mia vita si chiude, e tutto ruota per me, in un mondo piccolissimo, e qualsiasi cosa di questo mondo diventa importante, e i gesti ripetuti, le cantilene, i tempi prolungati sono la mia sicurezza. E tutte le cose hanno un’importanza uguale, mangiare dormire, vedere, bere, ascoltare, disegnare». 
Dunque lo spazio dell’opera di Cozma è tanto la porzione di tela, quanto il tempo impiegato a segnarla. A vedere le opere, è proprio la temporalità a venirci innanzi. Esso è nella ramificazione dei graffi, che muovono concentrici fino a disperdersi nel cuore del vortice, per non poterne più seguire la traiettoria. Un tempo che si evidenzia come un percorso di sedimentazione della forma. Ma se d’altronde, come stiamo sostenendo, il tempo è un fattore preponderante nell’arte di Cozma, allora altrettanto nell’analisi di questo lavoro va tenuto conto più della forma, del processo di formazione della forma.
È un procedimento che definirei “rassicurante” per l’artista stessa: ci si affida, perché il suo è un segno che non esce mai dallo spazio del foglio, dove l’artista può “sostare”. Ogni opera ha così una temporalità intrinseca, come traccia dello stanziamento, dell’avvenuta sosta tra i margini sicuri di una pagina.
Si ha la sensazione, guardando i fogli di Cozma, che il mondo visibile sia scagliato fuori senza niente che lo trattenga; un mondo semplicemente guardato, osservato dai finestrini di un treno, per poi disegnarlo, rincorrerlo mentre si allontana. In effetti, Kuffjca ha avuto con il treno un impatto imprevisto. I viaggi del corpo sono iniziati da allora a transitare dalla mano, per proiettare tensioni di movimento oltre l’impossibilità del suo fisico ormai segnato ad una mobilità diversa. Con lo scorrere del tratto sulle sue tele, mantiene il corpo in movimento, e la sua mente ricorda a partire da ciò che progressivamente dimentica. Come a dire che i suoi paesaggi non hanno più niente di familiare se non nelle vibrazioni del vento e nelle accentuazioni di suoni e odori colti come onde di sensazioni.
È questa vibrazione ad avvolgere lo spettatore, nei disegni di Cozma, a suggerire la ricostruzione di una sensazione sinestetica della visione. Una visione attraente che sembra trovare conferma anche nel mondo del collezionismo dell’Outsider Art europea a seguito dell’ultima fiera parigina nel 2017. In attesa di una partenza per New York, e un’importante galleria.
Marcello Francolini

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui