01 febbraio 2018

Bologna la rossa

 
Una cartolina trasversale, per iniziare l'art week: ecco la città emiliana secondo Flavio Favelli, non nato ma cresciuto all'ombra delle Torri. E di una storia italiana che parte da qui

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Bologna “la rossa”: titola così questo pezzo che Flavio Favelli ha scritto per Exibart (e che trovate sul nuovo numero 99, da oggi distribuito ad Arte Fiera, Set Up e molte altre location bolognesi) e che vi proponiamo come incipit per questa nuova art week italiana, in una città che alla penisola ha dato – molto più d’altre – energia creativa, movimenti underground, correnti e intellettuali. 
In questi giorni, tramite le nostre rubriche e le speednews, vi racconteremo “La Dotta”, “La Grassa”, per una tradizione culinaria che non potevamo omettere, e ovviamente anche la Bologna più “artsy”, quella che ogni anno si sveglia nei giorni più freddi dell’anno, con innumerevoli proposte. Restate sintonizzati! (MB)
Nei due importanti recenti eventi bolognesi, alla presenza del premier Gentiloni, la presentazione di FICO Eataly World e del nuovo SUV della Lamborghini Urus, l’arte non c’è. Giusto si nota, nel più grande parco agroalimentare al mondo, una Nike di Samotracia in legno fra i tavolini, mentre nel capannone hi-tech di Sant’Agata Bolognese si è esibita un’orchestra con strumenti classici. È come se ci fosse stato una specie di senso di colpa, come se si percepisse, in fondo, che il cibo e una macchina col pianale rialzato non possano essere un fine e così si è cercato di dare un tono di un qualcosa di artistico e classico, un tocco di buon gusto che ci deve essere. 
Mi sono accorto sempre più, soprattutto dopo la morte di mia nonna e mia madre, del forte legame che ho per questa città anche se non ci sono nato. Ci vivo dal 1973 e ho moltissimi ricordi, figure e oggetti che mi riportano a precisi momenti. Tanti, troppi, sono legati ai fatti tragici successi a Bologna. Leggendo il diario dei giorni della Strage del Salvemini del 1990 del sindaco di Casalecchio di Reno, Ghino Collina apparso recentemente (1), ho rievocato tante immagini. Questo racconto drammatico si intreccia ad una tragica ed impressionante sequenza di fatti di sangue che conviene elencare perchè vuole dire tracciare non solo la storia della città, ma quella del Belpaese e della storia contemporanea: l’Italicus nel 1974, Francesco Lorusso nel 1977, Murazze del Vado nel 1978, Ustica – l’aereo partì dall’aereoporto Guglielmo Marconi – e la Stazione di Bologna nel 1980, il Rapido 904 nel 1984, il Salvemini nel 1991 capitato in mezzo al periodo della Uno Bianca che seminò cadaveri dal 1987 al 1994, fino a Marco Biagi nel 2002. Nel racconto del sindaco di Casalecchio il territorio è presentato come una comunità, come un grande paesone, c’è uno modo di sentire e di narrare che racconta una certa visione delle cose. I funerali delle 12 vittime si svolsero in chiesa, dice Collina: …era quella, infatti, la Chiesa del Centro‐città, parecchio capiente, moderna e sobria; era peraltro considerata un’opera d’arte dell’ architetto Gresleri. 
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Flavio Favelli, DC-9 di Ustica in Piazza Maggiore
Allora l’arte era una questione seria, perchè il partito, certo col suo punto di vista, insegnava anche questo. In una cartolina illustrata dell’Istituto di Studi Comunisti vicino Roma (1944-1993) su quattro vedute, due erano dedicate all’arte, una ad una pittura di Renato Guttuso e l’altra ad una scultura di Marino Mazzacurati. Già il sindaco di Bologna Renato Zangheri nel 1971 portò le tre sculture di Arnaldo Pomodoro in piazza Verdi e sempre nello stesso anno fu installata all’Ospedale Sant’Orsola la Fontana di Quinto Ghermandi, forse l’opera d’arte contemporanea più interessante a Bologna. Ricordo due momenti: l’intervista a Mauro Felicori (ora direttore della Reggia di Caserta) responsabile della Biennale Arte del 1988 (chi se la ricorda?); la prima volta – e ultima – che ho sentito un dirigente comunale parlare di arte contemporanea in modo concreto. Il secondo momento è il 2003. Giorgio Guazzaloca, primo sindaco non comunista di Bologna, inaugurò l’Infobox in piazza Re Enzo, due ovali in vetro progettate dall’architetto Mario Cucinella e subito ribattezzate gocce e barattoli. Volute da un sindaco civico appoggiato dal centro-destra, parte della sinistra si scagliò contro questo progetto. Il nuovo sindaco Sergio Cofferati le fece rimouovere a furor di popolo, il PD sembrò fosse d’accordo con Vittorio Sgarbi. Anche la Casa del Nettuno, fatta da Mario Ceroli nel 1988 fu sistemata in un magazzino e poi smaltita come legno marcio (4). 
Tre anni fa scrissi un testo sull’edizione locale de La Repubblica dove sottolineavo che la Festa dell’Unità, per l’arte, aveva invitato due artisti, Pierpaolo Calzolari e Concetto Pozzati e due storici, distanti dall’arte contemporanea, Eugenio Riccomini e Andrea Emiliani. Uno di settanta anni e gli altri tre prossimi agli ottanta. Facevo presente che alla festa nazionale del più importante partito di progresso italiano risaltava una scelta incentrata sul passato. 
Flavio Favelli

In homepage: Flavio Favelli, 11 marzo ’77, matita colorata su cartoncino, 2012 (dettaglio)

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