02 febbraio 2018

Bologna Art Week/9. L’atmosfera di SetUp. Cosa racconta la fiera dedicata all’arte emergente

 

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SetUp ci accoglie con quel piacevole e tranquillizzante sentore di olio, tempera e grafite su tela, tavola e carta. La fiera bolognese orientata alle ricerche emergenti decreta quello che ormai è un eterno ritorno della pittura, nelle sue molteplici forme, dal molto piccolo all’abbastanza grande, con la leggerezza di un disegno ben fatto oppure con la gravità degli inserti polimaterici, dalle grafie di Ericaeilcane agli accostamenti esuberanti di Laurina Paperina, dai diorami inquietanti di Saba Masoumian agli appunti architettonici di Massimo Gasperini. E con un ampio spettro di esiti, da un certo accademismo a una controllata sperimentazione, come è normale che sia. 
La prima parte del percorso espositivo scorre senza troppi acuti, fino a quello emesso dalle note di un W. A. Mozart molto contemporaneo, reso irriconoscibile, onirico, fluido, dal collettivo Polisonum, invitato per la sezione Off Projects, insieme a Panem et Circenses e Hannes Egger. Mouvement, a cura di Francesca Ceccherini, è l’installazione del collettivo che usa il suono come strumento di indagine, in questo caso, di un tempo al di là delle umane possibilità percettive, con la composizione k94 sottoposta a una dilatazione di 248 anni, tanti quanti sono quelli che ci separano dall’esecuzione del brano da parte del compositore, tra gli ospiti illustri di Palazzo Pallavicini. 
Quest’anno, infatti, SetUp ha cambiato sede, spostandosi dall’Autostazione di Piazza XX Settembre allo storico palazzo nel cuore della città antica. Spazi tutt’altro che semplici, con i potenti cicli di affreschi e le decorazioni aggettanti che arricchiscono praticamente ogni angolo. Ma il rischio di farsi sopraffare è stato eluso con un allestimento accorto, che ha interpretato bene i toni, i ritmi e le luci, non fiaccando la vista e facendo scivolare con naturalezza l’attenzione sulle opere. Che però sono tante, probabilmente troppe, per i metri quadrati a disposizione, finendo con l’entrare l’una nell’altra in alcuni casi. 
Non molta fotografia ma notevole per raffinatezza quella portata da Luca Gilli, composta da frammenti visivi di stanze e oggetti in sospensione. Proprio per la fotografia, però, c’è un premio apposito, messo a disposizione dall’Associazione Tiziano Campolmi. Otto i giovani finalisti – Olmo Amato, Carla Andrade, Emanuela Cerutti, Martina Esposito, Enrico Fico, Livio Ninni & Vesod, Filippo M. Prandi e Leonardo Salgado – in contesa sui like che riusciranno a ottenere su Facebook. Il vincitore sarà decretato il 4 febbraio ma, intanto, vogliamo sbilanciarci. Ci ha convinto Tra le braccia di Salmace, il progetto di Martina Esposito, a cura di Martina Tarallo, per la serenità con cui porta avanti il racconto delle vite di quattro donne transessuali. Il taglio deriva da quello del reportage e potrebbe cadere in una asettica durezza anche troppo facilmente ma, ben sparse, appaiono diverse sfumature di sensazioni, che riescono ad addolcire e umanizzare lo sguardo. Anche quelli delle persone presenti in questa prima giornata sono sereni, l’atmosfera è pacata e si adagia sulle frequenze fruscianti delle parole pronunciate a bassa voce, il ventaglio delle possibilità è ampio e accessibile, l’umore è generalmente fiducioso. Buona la prima.

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