05 febbraio 2018

INDEPENDENTS

 
Gli androni dei palazzi come palcoscenico per l'arte. Incontro con Alice Pedroletti ed Eugenio Nesi, sul portone
di Jack Fischer

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Alice Pedroletti ed Eugenio Nesi li incontro a Torino. É quasi uno scontro, ad un passo dall’androne del Palazzo dove eravamo diretti. Quando il caso non esiste…É proprio qui che inizia il nostro dialogo su  ATRII® e sull’Archivo Aperto, progetto nato a Milano nel 2015 che analizza l’androne come spazio fisico e teorico.
L’atrio di un palazzo di città è un luogo di grande importanza sociale. Vi nascono e si evolvono i rapporti  umani, in primis dei condomini, ma non solo. Cosa spinge gli artisti ad agire portando l’arte contemporanea in questi spazi? Quale la scintilla iniziale?
Alice Pedroletti: «Molti di noi hanno una passione per gli atrii, soprattutto gli artisti di Milano o che vivono o hanno vissuto qui. C’è un legame particolare con l’idea di curiosità, desiderio, immaginazione, fantasia che passando davanti a un atrio di notte – fin da piccoli – ti è stata suscitata dalla loro bellezza, spesso inaccessibile. Poi c’è il ritornare di giorno, la trasformazione dello spazio, la voglia di viverlo e di renderlo utile. Gli A12 hanno il loro archivio in una ex portineria e al mio studio si accede da un atrio. Claudia Maina li “insegue” come in una caccia al tesoro, Umberto Chiodi rivive il suo romanzo preferito proprio in un atrio, Stefano Cagol ne indaga l’aspetto energetico del contatto fisico, Gianni Moretti e Lucia Veronesi ne vedono l’aspetto relazionale dall’esterno all’interno e viceversa, questo solo per citare alcuni di noi. Gli atrii sono luoghi delle nostre riflessioni, che viviamo nel nostro quotidiano, che abbiamo ricercato inconsciamente (forse). 
Sono spazi sospesi nel tempo, immobili a volte, ma anche capolavori architettonici in cui i materiali,  così come i fregi o i segni, generano visioni irreali e accostamenti sorprendenti. Moltissime persone li abbelliscono, adornano, arredano in modo indipendente dalla volontà del palazzo. Questa idea di riappropriarsi della città, degli spazi nella città che esistono e sono a disposizione, di portarli a misura d’uomo (o d’artista) e che riconduce per esempio ai lavori degli anni ‘70 di Ugo La Pietra e a molti altri artisti tra i quali gli stessi A12, credo che sia ciò che ci spinge a indagare l’atrio come ‘possibilità’ per l’arte. Sicuramente realizzare il primo progetto (quello di John Cascone, ndr) ci ha fatto capire ancora di più la potenzialità culturale e l’importanza che può avere una progettualità a più fasi come quella di Atrii. L’artista lavora con il territorio e per il territorio, è libero nel farlo, ma impara a relazionarsi con moltissime sensibilità e imprevisti, agisce in un luogo che fa capo a una collettività e lui stesso fa parte di un progetto collettivo. Per questo è un progetto che è anche “pratica artistica”». 
Eugenio Nesi: «Il fascino del progetto Atrii e del suo Archivio, nasce per me dalla sua forma. Il modo in cui è stato ideato rende obbligatorio confrontarsi con una stimolante dinamica di gruppo e con uno strano rapporto tra alcuni ruoli chiave del sistema dell’arte. Si allontana completamente dalla dinamica artista-galleria-collezionista, affronta il discorso della committenza in modo collettivo e inusuale, coinvolgendo potenzialmente soggetti completamente a digiuno di arte contemporanea e aumentando in modo drastico l’importanza di una corretta e comprensibile divulgazione dei progetti. Ho cominciato a lavorare con Atrii l’estate scorsa, ero già coinvolto in dinamiche di gestione condominiale per motivi slegati dal mondo dell’arte e Alice aveva bisogno di una figura che si occupasse dei rapporti tra condomini, committenza, artisti, ed eventuali istituzioni coinvolte. In pratica tutti gli aspetti del lavoro che gli artisti non volevano più fare, per concentrarsi appunto più sulla loro pratica, delegando in parte le questioni logistiche e curatoriali».  
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Atrii, Bevilacqua La Masa, Andrea Grotto (Registro, 2017. Tappeto agugliato ad acqua TNT)

Ci parlate dell’Archivio Aperto, “dispositivo” vivente depositato presso la Cittadella degli Archivi di Milano? Come un progetto catalogato continua a pulsare nel tempo, come muta?
A.P.:  «L’Archivio Aperto è nato in dialogo con Francesco Martelli, Direttore della Cittadella degli Archivi a seguito della proposta di pensare ad un progetto che interagisse con la Cittadella. Nella mia pratica uso, genero, manipolo archivi di diverso tipo: il primo è stato il mio archivio di fotografie in pellicola su cui ho lavorato (e continuo) per la mostra “Frigido. Vita di un archivio” curata da Cristina Baldacci. Un progetto intimo e di rottura con l’idea classica di archivio fotografico (un sacrilegio per un fotografo). Poi ho approcciato l’archivio come storia famigliare che si estende a un territorio e a una collettività con il progetto “Senza Titolo*” – legato alla Bemberg e al Lago d’Orta e che quest’anno continuo in collaborazione con il Cern di Verbania, nell’ambito della residenza “Cartografia Sensibile” a cura di CARS a Omegna. Un approccio simile, meno intimo e famigliare, l’ho poi applicato a un lavoro su storia e architettura del Seven Mile Bridge in Florida con la Historic Society, e all’Isola Comacina con l’Accademia di Brera. ATRII Archivio Aperto è il primo progetto “vivente”, dove interagisco innanzitutto con artisti e con i loro progetti non ancora realizzati, autonomi dalla mia stessa ricerca. Non raccolgo qualcosa che è già passato per dare o fornire una possibile interpretazione, lavoro sulla relazione a tutti i livelli, come fanno anche gli altri artisti, ognuno a suo modo». 
E. N: «I progetti vengono raccolti e inseriti nell’archivio a seguito di laboratori o incontri teorici in cui gli artisti affrontano la tematica dell’atrio tenendo in considerazione le influenze del territorio in cui vanno ad agire. Gli atrii dei palazzi variano a seconda delle città infatti, e così anche la ricerca artistica che identifica le differenze, usandole come stimolo per una costante e sempre diversa riflessione e proposta di intervento. Una volta inseriti in archivio i progetti sono a disposizione per essere realizzati attraverso – appunto – un incarico di committenza». 
A.P.: «”Vivente” nel senso di pratica quindi, di approccio alla temporalità, all’esercizio, alla metodologia. È un archivio atipico perchè è nel futuro, ma anche concretamente nel presente; un dispositivo che si attiva e ferma a seconda dei momenti. È una pratica non semplice, un modello interessante di autoformazione, dialogo e curatela. Quando un artista accetta di partecipare, per me, è un regalo enorme». 
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Atrii Archivio Aperto, Stefano Cagol (Passaggi di energia, 2017. Installazione ambientale, materiali d’archivio, proiezione del progetto TBOE)

Quali sono i progetti che siete riusciti a realizzare? Come è interagire con un luogo così fortemente connotato e come vi siete rapportati con i condomini?
E.N: «L’unico progetto al momento realizzato “Ma perché essere qui è molto e sembra che tutte le cose qui abbian bisogno di noi?” è il lavoro di John Cascone e si trova nell’atrio di via XX settembre 62 a Verona. L’abbiamo presentato all’interno di “La seconda notte di quiete” evento off di ArtVerona 2017 con cui c’è stato un importante dialogo e un grande sostegno. E’ stato realizzato nell’ambito di ATRII_IN Veronetta, residenza d’artista a cura mia e di Alice, progetto pilota che vive grazie al supporto del collezionista veronese Lorenzo Lomonaco. Il progetto di John, si basa sul completo coinvolgimento dei condomini nel tentare di porre le basi per la costruzione di una piccola comunità all’interno del condominio stesso. Partendo dall’analisi di elementi che frequentemente si trovano all’interno di un atrio (una parete libera, gli zerbini, la cassetta delle lettere e il portone), l’artista ha presentato quattro interventi che mirano gradualmente ad aumentare il livello di coinvolgimento dei condomini nei confronti dello spazio comune. Per fa sì che i membri della comunità si possano riconoscere sono stati fatti dei ritratti fotografici dei condomini, poi appesi su una parete dell’Atrio. Per aumentare il livello di coinvolgimento nei confronti di qualcosa di condiviso l’artista ha tagliato un pezzo da ogni zerbino dei condomini per crearne uno di uso comune posizionato all’ingresso. Per far sì che i membri della comunità condividano una narrazione comune, John ha scritto un racconto giallo basato su suggestioni e piccole interviste che ha fatto ai condomini; successivamente ha spedito un pezzo del racconto ad ogni famiglia, così da spingere i condomini ad incontrarsi per scoprire la trama del giallo. Per aumentare il livello di coinvolgimento personale quotidiano nei confronti dello spazio comune, è stata applicata una targa all’interno del portone con la scritta MI MANCHERAI, introducendo così una dimensione più personale ed emotiva. Al di là di qualche ragionevole incomprensione e di un filo di diffidenza iniziale, per i rapporti e la logistica con i condomini siamo stati favoriti dalle dimensioni relativamente ridotte del palazzo (6 nuclei familiari coinvolti) e dall’aiuto della professoressa e artista Donata Lazzarini, lei stessa abitante del condominio. Ciò ha permesso di lavorare in modo lineare anche durante i giorni del Festival di Veronetta in cui abbiamo potuto raccontare al pubblico la genesi del progetto e in generale cosa fa il collettivo di Atrii. Le opere che vengono realizzate sono permanenti e uniche in quanto lo stesso progetto non può essere realizzato due volte allo stesso modo e resta ai condomini, avviando quindi un’altra dinamica, quella della cura, della conservazione e della condivisione di un’opera d’arte in uno spazio apparentemente pubblico, di fatto privato». 
 
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Atrii Archivio Aperto, Nina Fiocco, Alice Pedroletti, Valentina Bonizzi (It is just a facade, 2017. Installazione nei magazzini. PVC per cartelloni pubblicitari)

Milano – Atene – Verona – Venezia… Un nuovo anno, altri progetti altre città?
A.P.: «Nel 2018-2019 saremo a Città del Messico. Purtroppo il terremoto ha interrotto e ritardato i programmi culturali e i luoghi che ci ospiteranno sono ancora in via di definizione. Lavoreremo a un progetto legato al linguaggio, alla percezione dell’architettura e al significato di relazione in assenza di un codice linguistico comune. Il progetto è stato fortemente voluto da Nina Fiocco, artista membro del Collettivo ATRII® che vive in Messico ed è coordinato con le curatrici Gemma Arguello e Viridiana Zavala. Sarà quindi un’esperienza particolare e il primo laboratorio internazionale. La curatela della mostra finale sarà affidata al gruppo stesso di lavoro, in un processo di studio e analisi teorica delle pratiche artistiche condivise e individuali, come sempre in ogni nostro laboratorio. Per sostenere tutto il progetto ci sarà una sezione apposita nel crowdfunding che stiamo lanciando con Beart». 
E. N. «Atrii sarà anche a Varese: Alice e Lucia Veronesi, in collaborazione con Yellow – artists run-space di Vera Portatadino – cureranno per la seconda volta dopo Venezia (Bevilacqua La Masa) il progetto di ricerca e l’impostazione generale della mostra. Lo spunto iniziale è un bizzarro fatto di cronaca avvenuto a Busto Arsizio: il ritrovamento di un falso serpente corallo nell’atrio di un palazzo. Il gruppo indagherà quindi la tematica della metamorfosi e mimesi delle opere d’arte negli atrii. Anche in questi prossimi appuntamenti i materiali prodotti e la documentazione finale saranno poi conservati nell’Archivio Aperto, presso la Cittadella degli Archivi di Milano e a disposizione per la consultazione o la realizzazione». 
 
Jack Fischer

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