14 febbraio 2018

Fino al 18.II.2018 Kahuna Ex Chiesa di San Mattia, Bologna

 

di

Vi sono molti approcci possibili per rispondere a domande così intense: «Può davvero l’artista essere in grado di indicare una via d’uscita dalla crisi spirituale dell’uomo contemporaneo? E quest’ultimo può davvero accontentarsi di una spiritualità che non sia diretta emanazione del divino ma sia pensata da lui stesso, a sua immagine e somiglianza?». A chiederselo Leonardo Regano, curatore della mostra “Kahuna” presentata dal Polo Museale dell’Emilia Romagna nell’ex chiesa di San Mattia a Bologna.
Sicuramente non v’è una risposta che basti da sola, e affrontare il concetto uomo – natura – sacro, laddove l’uomo è tanto l’artista quanto il fruitore davanti all’opera, è un’esperienza capitale e a più riprese nella vita di ognuno. Ebbene facendo conto di essere all’interno dello spazio di una parentesi, quella aperta dai tredici artisti in mostra, questa collettiva prova a interpretare e affrontare le suddette domande. E non è la prima volta. Infatti Kahuna si propone come il secondo capitolo di una riflessione sul tema, propriamente sul senso del sacro nella vita contemporanea, e segue idealmente a “Sequela” presentata nello stesso spazio nel 2017. 
Inaugurata anche per quest’anno durante Arte Fiera 2018, mantiene le caratteristiche vincenti della prima: reinterpreta l’ampiezza dell’ex chiesa con suggestione allestitiva, accostando opere storiche a opere firmate nel 2018 da autori di età e provenienze diverse, e si àncora a saldi riferimenti letterari, intesi come pista di decollo. A partire dal titolo su cui cade l’accento, che dà poi musicalità all’ensemble. Il termine kahuna si riferisce all’antica saggezza degli sciamani huna hawaiani, definendo le caratteristiche di uomini di conoscenza spirituale, esperti, maestri, sciamani. Guide in grado di coinvolgere in rituali terapeutici e religiosi e di indicare una via di uscita dal dolore collettivo. Termine arrivato a noi anche grazie alla ricerche sull’antica cultura polinesiana portate avanti dall’americano Max Freedom Long, e a cui Regano fa cenno. 
null

First Rose, Arshape One, 2018 sul fondo Arthur Duff, My Veins, 2017_ Sophie Ko, Atlanti (Geografia Temporale), 2016_ ph. credit Andrea del Bianco

L’interrogativo che ha spinto a questo percorso riguarda la figura dell’artista come guaritore e mediatore, tra sé e quello che riconosciamo come sacro, tra materia e spirito. E ciascuno dei nomi coinvolti declina una personale aspirazione ad “addomesticare” la sacralità della natura, pur dimostrando che talune sensibilità affrontano e ne invocano l’ordine, altre ce ne mostrano gli elementi, altre ancora la assorbono come rivelazione, con tutto il portato di mistero che richiede un atto di fede. L’equilibrio sta nella consonanza di tutti questi aspetti: conducono Pinuccia Bernardoni e Giuseppe Penone con le loro rappresentazioni biomorfe, evocazioni potenti dell’ornamento vegetale, composizioni e variazioni storiche, ordinate e determinanti, in dialogo con la geometria poetica di Nobuya Abe il cui lavoro introduce alla dimensione meditativa di questa visita. Si incontrano infatti tanto il volume abitabile che firma Sabrina Muzi – qui lo spettatore è invitato a entrare silenziosamente in un diamante! – quanto la vibrante installazione, potremmo dire anche sonora, di Gregorio Botta. Appare infatti importante l’estensione dell’ascolto, intanto di sé per accordarsi col proprio sentire di fronte a queste emanazioni, e dell’ambiente intorno, sicuramente conciliante. L’architettura dell’ex chiesa conserva le sue caratteristiche funzionali e induce alla reverenza. 
Le opere proposte ben si dispongono, con coerenza e pregnanza, e il dialogo avviene anche a livello simbolico, piuttosto significativo. I pezzi di Cosimo Terlizzi, richiamano la preziosità della forma del diamante, attraverso l’oro che ammanta la quotidianità messa in scena, e la sua pietra dorata si accosta alle pietre laviche di Arthur Duff che vi scrive col neon, riportandoci a una dimensione in cui la tecnologia è dominante. (Potrebbe essere, quella di sottomissione all’evoluzione tecnologica, la nostra attuale condizione sacrale?). 
Ma nessuna delle opere abbandona il nesso stretto con la natura, che sia essa profondo ascendente o sostanza da governare. Come nei frammenti di paesaggio di Amandine Samyn che portano, in perfetta connessione, ai frammenti di puro pigmento che disegnano le “geografie” di Sophie Ko. 
L’azione misteriosa dell’arte in rapporto al fascino dei principi naturali, appare altrettanto nei lavori che affidano all’aria, alla delicatezza dei materiali e alle grandi dimensioni parte della loro forza: il tessuto popolato di creature zoomorfe di Claudia Losi si confronta con l’intrico di segni nell’enorme foresta di Alessandro Saturno. E ancora il corpo “celeste” aerostatico di First Rose (Fabrizio Favale e Andrea Del Bianco) sospeso a mezz’aria nella navata centrale di San Mattia dà una spinta ideale all’altalena enigmatica di Golzar Sanganian. Installazioni, queste, che portano a soffermarsi sulle forze che ci circondano, i movimenti del caso, l’interazione tra i corpi, questioni di cui gli artisti si fanno tramite. Opere, tutte, nella loro singolarità e nello sguardo di chi le accomuna, manifestazioni di sentimenti che la forma rende puri, concretizzazioni della necessità di gestire l’ignoto.
Kahuna è stata realizzata in collaborazione con le gallerie Studio G7 e De’ Foscherari di Bologna, Traffic Gallery di Bergamo, Antonio Verolino di Modena e Monica de Cardenas (Milano e a Zouz).
Cristina Principale
mostra visitata il 2 febbraio

Dal 2 al 18 febbraio 2018
Kahuna
Ex Chiesa di San Mattia
Via Sant’Isaia, 14a – Bologna
Orari: da giovedì a domenica dalle 13:30 alle 19:30
Info: www.polomusealeemiliaromagna.it

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui