02 marzo 2018

Musica Sequoyah Tiger

 
Set up! La traccia di una serata tra passato, presente e futuro, e un'intervista a Sequoyah Tiger
di Paola Granato

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«Questo palazzo galleggia sull’acqua fin dal quindicesimo secolo la mia intenzione è farlo galleggiare sull’acqua verso il futuro», con queste parole l’architetto Tadao Ando raccontava nel 2007 il progetto che avrebbe realizzato per gli spazi di Punta della Dogana a Venezia. Uno spazio “che parla” e che è riuscito a entrare in dialogo con “Set Up”, due serate site specific organizzate da Palazzo Grassi – Punta della Dogana in collaborazione con Enrico Bettinello. 
Una programmazione di particolare interesse in un panorama che, al di là di alcuni festival, offre poche occasioni di incontro tra arti performative e musica contemporanea. Ha aperto la seconda serata, quella del 24 febbraio, Alessandro Sciarroni con Don’t be frightened of turning the page. Il coreografo, che in questa occasione vediamo in scena, ha lavorato su un concetto apparentemente semplice: quello del turning. Così come Tadao Ando si è concentrato sullo scavo e sul togliere, eliminando tutti gli interventi di ristrutturazione precedenti, Sciarroni torna all’origine del gesto, che con precisione e gusto ha saputo formalizzare in una coreografia in grado di trasportare  altrove. Partendo dai movimenti migratori di alcune specie animali, nel suo girare ci passa davanti la vita, una ciclicità interrotta da sottili e chiari gesti che innescano piccole scintille, un invito ad alzare i piedi e lasciarsi andare a una creazione di rara sensibilità.
Al centro dell’edificio è stato lasciato un cubo di calcestruzzo: unico elemento risalente a un anteriore restauro, è proprio in questa capsula che la serata come un flusso prosegue con Sequoyah Tiger. I brani del disco Parabolabandit hanno qualcosa di atemporale, un mix di classico e contemporaneo che ben si sposa con i materiali del luogo che ci ospita. Leila Gharib e la coreografa e danzatrice Sonia Brunelli presentano un live che è vero e proprio ibrido tra concerto e performance, di fronte al quale si perdono le coordinate per stabilire dove inizia uno e finisce l’altro.
Le grandi pareti di cemento della terza sala sono le superfici per le video proiezioni dei Laibach, gruppo sloveno dalle atmosfere cupe. Prima della chiusura della serata affidata a Mattew Herbert in veste di dj, il live ironico e punk di Chris Imler riporta il pubblico nel cubo centrale che danza divertito con l’imprevedibilità del musicista berlinese. 
«Utilizzerò un materiale del ventesimo secolo come il cemento armato che inserirò in questa cornice di strutture che risalgono al quindicesimo secolo», continuava così l’architetto la sua presentazione, e questa stratificazione di temporalità è entrata in relazione con le performance di artisti che hanno fatto viaggiare gli spettatori all’interno del loro immaginario, per farli tornare, poi, in una ventosa Venezia dall’atmosfera romanzesca e straniante.
Riportiamo qui di seguito un’intervista a Sequoyah Tiger che abbiamo raggiunto qualche giorno prima del live a Venezia. Con lei abbiamo parlato dell’album Parabolabandit, uscito per la Morr Music nel 2017, della costruzione di un disco e del rapporto con le arti performative. 
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Sequoyah Tiger, Parabolabandit
Da dove viene il nome Sequoyah Tiger? Perché lo hai scelto?
«Tutto è nato nel 2014 quando ho iniziato a raccogliere immagini e testi tratti dai diari di bordo dei grandi viaggi d’esplorazione terrestre. In questi libri ho incontrato la parola Sequoyah e la parola Tiger, una volta affiancate sono stata catturata dal loro suono, dalla successione delle lettere da cui sono composte e dalla visione che restituiscono alla lettura. La parola Sequoyah, inoltre, è in origine il nome di un leggendario nativo americano cherokee, inventore di un sillabario di 85 caratteri che ha permesso al suo popolo di leggere e scrivere. Da queste premesse si è sviluppato un progetto musicale».
I brani del tuo disco sembrano essere molto legati alla forma “canzone”. Di cosa ti piace scrivere? Qual è la scintilla che ti innesca il desiderio di scrivere un brano?
«In Parabolabandit ho scritto di un mondo attorno a me, ladri di parole, persone che scompaiono, mappe geografiche, isole, lemuri, personaggi, tensioni della ricerca, scelte e strade. La scintilla è l’amore per un panorama sonoro in cui scavare una melodia, ogni canzone poi – lavorando – prende forma».
Ascoltando i brani di Parabolabandit mi sembra di sentire alcune cose che risuonano in modo molto chiaro ma, improvvisamente, si viene trasportati in un altrove inaspettato. Dove ti piacerebbe condurci con i tuoi pezzi?
«Una volta finito il disco ho notato che i pezzi avevano dinamiche molto diverse tra loro, è stato impossibile ordinarli in una tracklist che procedesse morbida senza cambi bruschi. Così ho deciso di posizionare i pezzi in modo da esaltare questo carattere della mia scrittura. Benvenuti nel Parabolabandit».
Quali sono i tuoi riferimenti musicali? Che cosa ascolti?
«Se apro una mia playlist ora ci trovo Black Dice, Dirty Beaches, Animal Collective, Ron Morelli, Everly Brothers, The Supremes, Andrew Sisters, Skeeter Davis, The Platters, Joe Meek, Molly Nilsson, Eola, Raymond Scott, Patrick Cowley, Pete Drake, Laurie Anderson, RP Boo, Johann Strauss II, Astrud Gilberto, artisti usciti per l’etichetta Morr Music o per la bolognese Maple Death».
Vieni dal progetto Barokthegreat, fondato insieme alla danzatrice e coreografa Sonia Brunelli nel 2008, sotto questo nome avete prodotto vari lavori. Quali sono le differenze e le similitudini nella produzione di un disco e di uno spettacolo?
«I due progetti artistici hanno obiettivi differenti, Sequoyah Tiger mira alla composizione di un disco mentre il gruppo di performing arts Barokthegreat compone spettacoli di danza. Posso dirti che musicalmente la differenza più grossa è che i brani del disco sono prodotti in solitudine e nella loro chiusura sono assoluti. In Barokthegreat invece la produzione è collettiva e la composizione sonora procede a pari passo alla danza e all’apparato scenico. Se invece penso alla più grande similitudine direi che si tratta comunque di generare una visione sonora. Sequoyah Tiger è figlia dell’esperienze di Barokthegreat, sono strettamente connesse».
Parabolabandit non è solo un disco, ma un’opera con più diramazioni: i video, la grafica che tu stessa hai realizzato, i live nei quali ti esibisci con Sonia Brunelli. Qual è il tuo approccio alla creazione artistica?
«Un approccio esteso che si sforza ad immaginare. Vorrei impugnare visivamente l’opera musicale, scolpirla in un volume, calarla in un ambiente fisico. Conoscere i dettagli di ogni suo elemento, dinamiche di esistenza, contorni di ogni forma. Dare una rappresentazione visiva di Parabolabandit è per noi la costruzione di una realtà in cui ci sentiamo perfettamente espresse».
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Sequoyah Tiger, Parabolabandit
Come avete concepito i live? Qual è per te la relazione tra suono e movimento?
«Si parte da una selezione di brani chiusi che possano suggerire azioni e sequenze coreografiche, brani che permettano alla fisicità del corpo di trovare un avvicinamento e una propria interpretazione. Così via si forma la scaletta del concerto in cui vengono aggiunte dilatazioni sonore con introduzioni vocali o strumentali, code ritmiche che accolgono il passaggio musicale e coreografico tra un brano e l’altro. Cerchiamo una forma di intrattenimento dove ogni fase del live è trattata e conduce verso una direzione precisa di immagini e dimensioni emotive. Nel concerto avvengono due relazioni diverse tra suono e movimento: nella prima il corpo risponde al canto in modo naturale come estensione dello sforzo vocale, nella seconda la danza aderisce al senso del suono nel suo totale e non solo ai bpm».
Ho letto che hai registrato il disco nel tuo studio, il Vampa Club, quali sono i vantaggi di questa modalità produttiva che ti porta a curare tutto in prima persona?
«Il Vampa Club è un home studio sotterraneo dove ho allestito una postazione basilare per poter lavorare in modo indipendente. In questo modo posso procedere con i miei tempi, inserire nel processo creativo registrazione e missaggio, partecipando così a tutti i passaggi della costruzione di ogni brano. Per fare tutto ciò ho dovuto assorbire più informazioni tecniche possibili non avendo mai portato a termine una registrazione se non dei semplici demo. Tutte le problematiche che ho incontrato e con cui continuo a scontrarmi sono sempre stimolanti e mi permettono inoltre di rimanere dentro la materia sonora con le mani negli strumenti».
Com’è nata la collaborazione con Black Fanfare? Con chi ti piacerebbe collaborare in futuro?
«Black Fanfare lo conosco da tanto tempo, anche lui compone musiche sia per la danza sia per progetti in solo. Stimo da sempre tutti i suoi lavori ed appena è arrivato il pezzo giusto gli ho proposto di curarne tutta la parte ritmica, così è nata Brother/Brother. In futuro più che collaborare mi piacerebbe trovare il modo per condividere pensieri legati all’arte con artisti contemporanei che ammiro».
Infine 3 domande che faccio a tutti gli artisti che intervisto:
Una parola per descrivere il tuo lavoro 
«Parabolico».
Un libro che ti ha segnato 
«Riesco ad arrivare a tre: Daniel J.Levitin, Fatti di musica; Chaim Potok, Il mio nome è Asher Lev;
Byung-Chul Han, Il profumo del tempo».
Se potessi scegliere un personaggio (della storia, dell’arte, della letteratura…) da invitare a cena, chi inviteresti? 
«Antonio Pigafetta».
Paola Granato

In alto: Sequoyah Tiger, credits Laura Lei

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