21 marzo 2018

Sensi ed estetica prêt-à-porter

 
PARLA MARIA LUISA FRISA
Dopo l’apertura del “Gucci Garden” di Firenze la sua fashion curator ci racconta il progetto di Palazzo della Mercanzia

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Una nuova esperienza sensoriale ed estetica prêt-à-porter a Firenze. È il nuovo progetto Gucci Garden di Alessandro Michele, art director della maison Gucci dal 2015, che offre un connubio tra presente e futuro e lo traduce nel nuovo spazio espositivo – inaugurato lo scorso gennaio – curato dal critico e fashion curator Maria Luisa Frisa ospitato all’interno del trecentesco Palazzo della Mercanzia, già sede dal 2011 del Museo Gucci.
Il progetto di Michele mette insieme stimoli diversissimi che ritrovano nella bellezza la propria ragion d’essere e che richiamano l’immaginario estetico della maison e le sue profonde connessioni con il mondo naturale affiancando ad un percorso espositivo che ripercorre la storia del brand le opere contemporanee di artisti quali Jayde Fish, Trevor Andrew (noto anche come GucciGhost) e Coco Capitàn che decorano le pareti interne.
In che modo questo nuovo progetto si può inserire all’interno del tessuto culturale fiorentino? E quali sono i motivi della sua nascita? Ce lo racconta Maria Luisa Frisa, fashion curator e docente presso l’Università IUAV di Venezia.
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Gucci Garden
Come nasce la sua collaborazione con il Brand Gucci e la partecipazione al progetto Gucci Garden ?
«Nasce in primo luogo da una sintonia d’intenti con Alessandro Michele. Ho avuto la possibilità di confrontarmi con lui a più riprese, ascoltando la sua visione del Garden, affidandomi alla sua immaginazione. Come critico e come curatore la proposta di collaborare a questo progetto con l’allestimento delle sale dedicate al display dei materiali conservati nell’archivio mi ha dato la possibilità, unica in Italia, di riflettere sul significato del mettere in scena i manufatti e i documenti legati alla storia di un marchio, privilegiando però lo sguardo del presente. Il lavoro è stato molto concentrato, scandito da uno scambio di idee continuo con il team Gucci. La possibilità di muovermi fuori da regole predefinite – per esempio privilegiando una costellazione di temi alla linearità cronologica – mi ha permesso di tenere insieme piani diversi, muovendomi in maniera rizomatica».
Qual è il concept che ha condotto all’ideazione dell’area espositiva da lei curata?
«Sono partita dal presente, dalla visione di Alessandro Michele, rileggendo con attenzione i testi che accompagnano le sue collezioni e gli appunti presi durante le nostre conversazioni. Poi ho potuto addentrarmi nell’archivio con Daniela Malato che ne è la responsabile. Un archivio ricco di materiali sorprendenti, che hanno segnato tappe cruciali nella storia della moda e del costume. La selezione dei pezzi è stata preceduta dall’ideazione di cinque temi, che in un successivo processo di sintesi si sono trasformati nei nomi delle stanze espositive: Guccification, Paraphernalia, Cosmorama, De Rerum Natura, Ephemera. Cinque temi per sei stanze, focalizzati rispettivamente sulle infinite interpretazioni del logo, sugli elementi iconici, sulla dimensione del viaggio, sugli equilibri del regno vegetale e del regno animale, sull’inventario di documenti – brevetti, taccuini, cataloghi, riviste, inviti e memorabilia – che disegnano le traiettorie del marchio lungo la linea del tempo. Sono temi ampi e inclusivi, capaci di avvicinare la storia del brand a un pubblico trasversale. Per metterli a fuoco mi sono affidata anche alla memoria visuale della moda, quella più passionale e istintiva».
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Gucci Garden
In che modo il poliedrico progetto Gucci Garden si colloca all’interno del tessuto fiorentino come spazio museografico-culturale?
«Firenze è una città capace di stabilire un dialogo serrato tra passato e presente, alla quale sono profondamente legata, professionalmente e affettivamente. Qualche anno fa ho curato un progetto in forma di libro, Firenze Fashion Atlas, voluto dal Centro di Firenze per la Moda Italiana e da Pitti Immagine, focalizzato sulle relazioni tessute dalla città con la moda negli ultimi sessant’anni. Il libro intreccia avvenimenti, luoghi, persone e ne mette in luce la straordinaria visionarietà e varietà. Ecco, per rispondere alla tua domanda, credo che Gucci Garden s’inserisca perfettamente nel tessuto culturale della città. È un luogo sintonizzato sul presente e sulle visioni del futuro ma con lo sguardo rivolto alla ricchezza e alla straordinarietà del passato».
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Gucci Garden
Come si realizza la liaison tra contemporaneità e storia all’interno del suo progetto museografico?
«Gucci è una narrativa in continua evoluzione. Un marchio che ha contribuito a dare forma alla qualità e alla mitologia della moda italiana, oggi capace di captare un nuovo desiderio di bellezza forte e globale. L’archivio racconta una storia importate e al tempo stesso è un luogo energico, costantemente messo alla prova dalla immaginazione di Alessandro Michele. Così, come accennato, ho escluso da subito la possibilità di lavorare secondo un ordine cronologico. Rinvii e cortocircuiti permeano lo spazio espositivo, i pezzi selezionati si parlano. E parlano con le installazioni di Trevor “Trouble” Andrew, Jayde Fish e Coco Capitán, artisti visivi calati in profondità nel nostro tempo. Quindi, chi ha tempo non perda tempo: visitare per credere e per conoscere l’esperienza della bellezza».
Rachele Lombardo

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