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Come si sta muovendo il rapporto tra Museo del Novecento e arte contemporanea.
«Apriamo l’art week milanese con “Una tempesta dal paradiso” dal Guggenheim alla GAM, e poi il Premio Acacia che ha istituito un nucleo importantissimo in questi ultimi anni, e questo è il taglio che noi vogliamo proseguire nella nostra attività. Non vogliamo fossilizzarci sul Novecento, e continueremo anche ad arricchire la raccolta e la ricerca, ma con grande attenzione a quelle che sono le espressioni vive dell’oggi».
Lei ha inaugurato il suo mandato con la mostra di Amalia Del Ponte, oggi ci sono le “Furla Series” e si è da poco inaugurata anche la mostra di Giosetta Fioroni, recuperando anche spazi. Passi avanti, insomma…
«Sì, la mostra di Fioroni è la prima antologica di una grande artista del Novecento che ancora oggi ha tante cose da dire. Trovo che l’apertura di questi nuovi spazi per le mostre temporanee per artisti attuali e viventi e operativi sia un segno importante dell’attenzione al presente del museo del Novecento».
Il museo di arte contemporanea di cui tanto si è parlato negli scorsi anni, serve a Milano o no?
«Io penso che serva. E penso che sia anche che sarà un naturale sviluppo del Museo del Novecento che tra l’altro in questi anni sta aggiornando continuamente le collezioni. Il Premio Acacia è una delle fonti della collezione contemporanea del museo. Insomma, siamo già un po’ un museo di arte contemporanea; io non vedo questa fissità, e stiamo lavorando in questa direzione. Nella manica lunga, nella collezione permanente, arriveremo non più fino agli anni ’60 ma agli ’80…ma prima o poi bisognerà fare i conti con una nuova istituzione».