27 aprile 2018

Dalla Maison Cubiste alla Factory di Warhol. A Mosca, ricostruiti gli spazi del Modernismo

 

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Chissà quanti e quali aneddoti, accaduti nella Factory più famosa al mondo, racconterebbe quel barattolo di zuppa, se potesse parlare. Se siete così curiosi di conoscere tutti i minimi particolari di quella “età dell’argento”, quando Andy Warhol stava diventando l’artista più famoso del mondo, non vi rimane che andare a Mosca, al Garage, il Museo d’arte contemporanea progettato da Rem Koolhaas e patrocinato dalla coppia vip russa per antonomasia, ovvero Darya Zhukova, per gli amici Dasha, figlia dell’imprenditore russo Alexander Zhukov e già nel board del LACMA-Los Angeles County Museum of Art, e Roman Abramovic, semplicemente tra gli uomini più ricchi al mondo. 
Anche perché volare a New York sarebbe inutile, l’edificio di Manhattan dove, tra il 1962 e il 1968, Warhol stabilì il suo primo studio, è stato abbattuto. E invece, al Garage ne potete trovare una copia perfettamente riprodotta e a grandezza naturale, con le serigrafie di Warhol e Roy Lichtenstein appese alle caratteristiche pareti ricoperte di carta stagnola e i divani, sui quali potete anche accomodarvi, accavallando graziosamente le gambe come faceva il maestro. 
Questa installazione fa parte di “If our soup can could speak: Mikhail Lifshitz and the Soviet Sixties”, mostra che celebra i cinquant’anni dalla pubblicazione di The Crisis of Ugliness, testo di Mikhail Lifshitz, teorico marxista e vicino alle idee di György Lukács, nel quale si critica duramente tutta l’arte sviluppata dal Cubismo fino alla Pop Art. Infatti, l’intento dell’esposizione è tutt’altro che celebrativo, perché si vuole riproporre quel preciso orientamento del dibattito culturale che, nella prima metà del Novecento, aveva mosso le sue aspre critiche prima alle Avanguardie e poi agli altri movimenti artistici europei e statunitensi. I curatori Dmitry Gutov e David Riff hanno lavorato duramente per tre anni, svolgendo le loro ricerche negli archivi storici russi, per proporre una ricchissima selezione di documenti originali, tra testi di filosofia, manuali di politica, trascrizioni di discorsi pubblici tenuti dai leader dell’epoca. Non si tratta solo di superficiale opposizione di regime, piuttosto, di raffinate analisi estetiche che, in qualche modo, hanno anticipato quella che oggi è riconosciuta come la Crisi del Modernismo. 
Visto che il bersaglio di Lifshitz non era solo Warhol, è stato ricreato anche un altro celebre spazio, ovvero, La Maison Cubiste, originariamente proposta al Salon d’Automne del 1912 e realizzata da Raymond Duchamp-Villon e André Mare, insieme agli artisti della Section d’Or, tra i quali Fernand Léger, come manifesto dello stile architettonico e della visione cubista. La Maison fu duramente attaccata anche alla sua epoca ma questo ne favorì la scalata al successo, tanto che fu riproposta anche alla storica prima edizione dell’Armory Show, nel 1913, quando furono presentate negli USA più di mille opere di artisti europei, come Paul Gauguin, Vincent Van Gogh, Odilon Redon, Henri Matisse, Marcel Duchamp e Constantin Brancusi, in pratica tutto il meglio del modernismo, riunito in un sol luogo. Evidentemente un colpo al cuore per Lifshitz, la cui imponente opera teorica è stata dimenticata dopo la morte, avvenuta nel 1983. Ma adesso le sue idee potrebbero essere riscoperte e rivalutate. The Crisis of the Ugliness non è stato ancora tradotto in italiano ma è disponibile la prima versione in inglese, pubblicata a febbraio 2018 dalla casa editrice olandese Brill, con il supporto di Garage. (mfs)

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