03 maggio 2018

Bernini, la Santa e un dito mozzato

 
Santa Bibiana mutilata: uno dei capolavori del primo barocco di Bernini perde un dito dopo il ritorno dalla mostra alla Galleria Borghese, durante il riposizionamento nella sua collocazione originaria, la chiesa omonima nel cuore di Roma

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Premettiamo che non mi occupo oggi della trama di un film di Aldo, Giovanni e Giacomo. Non si tratta, infatti, di un remake del loro fortunato “Tre uomini e una gamba”. Qui siamo all’ennesimo caso che conferma come la realtà sceneggi più della fantasia del più versatile autore.
La triste vicenda è ormai ben nota. Ha fatto il giro di giornali, telegiornali, del web, in Italia e non solo. Ennesima beffa per l’immagine del Belpaese. La celebre statua di santa Bibiana, di ritorno dalla grande mostra dedicata a Gian Lorenzo Bernini alla Galleria Borghese, durante le operazioni di ricollocazione sull’altare originario nella chiesa romana omonima nel Rione Esquilino per la quale fu concepita e realizzata dal grande scultore negli anni 1624-1626, ha perso un dito. Stando a quanto raccontato dal vice parroco della chiesa, Carlo Marisi, probabilmente il 24 aprile mattina, un impatto tra la statua e la nicchia, ha comportato la netta amputazione dell’anulare della mano destra della Santa. Un danno gravissimo. Nella scheda, peraltro, redatta per la mostra pocanzi richiamata da Andrea Bacchi (co-curatore dell’esposizione insieme ad Anna Coliva) si legge: «le dita della mano destra, allargate e sospese in aria, sono un vero e proprio miracolo tecnico». O, meglio, “erano” un vero e proprio miracolo tecnico. Spero solo che l’unico a pagare per l’accaduto non sia il movimentatore della ditta incaricata. I carabinieri del Nucleo di Tutela hanno, comunque, aperto un fascicolo e ci auguriamo che le responsabilità siano acclarate. A ogni livello. Compresi quelli apicali. Non avevo intenzione di aggiungermi ai cori di storici dell’arte, come Tomaso Montanari, circa l’inopportunità della mostra stessa che ha richiesto la “traslazione” della Santa, fino ad arrivare alle perplessità sul restauro subito dalla Santa stessa poco prima dell’inaugurazione della mostra, dal 4 settembre al 16 ottobre 2017, quando i visitatori hanno potuto ammirare dal vivo l’esecuzione dei restauri, grazie alla presenza di un vero e proprio cantiere aperto, collocato nel portico della Galleria Borghese. 
Ma c’è una frase che mi ha profondamente indignato che sarebbe stata pronunciata (uso il condizionale, nonostante l’autorevolezza della fonte, tanto mi sembra eclatante) da Anna Coliva co-curatrice della mostra su Bernini e direttrice della Galleria Borghese: «Peccato che alla fine della mostra — concludeva la sua intervista pubblicata sulla Lettura #323 del Corriere della Sera di domenica 4 febbraio 2018 — la Santa Bibiana debba tornare in una posizione per lei così punitiva: sarebbe fantastico poter trovare il modo di valorizzarla». Punitiva? La collocazione concepita da Bernini stesso come parte di un tutto architettonico? Qui di punitivo per santa Bibiana c’è stato, da oggi, solo il poco invidiabile “primato” del doppio martirio a cui è tornata a essere sottoposta dopo un paio di millenni di storia. E poi Roma, con le sue chiese, non è la versione ante-litteram, anzi quella più avanzata e invidiabile, di museo diffuso, capillare sul territorio, stratificato da secoli di storia, potere e genio artistico? Non si dovrebbe lavorare a soluzioni e progetti per spingere il pubblico a conoscere i musei più nascosti, le chiese più recondite, per un’esperienza cultura unica al mondo e, una volta tanto, meno da “multisala”? Il dito mozzato della Santa di Bernini cela, insomma, un entroterra molto più inquietante. Il restauro si farà. Probabilmente riuscirà anche bene. Ma il sonno della ragione continuerà a generare mostre… pardon… mostri. (Cesare Biasini Selvaggi)

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