11 giugno 2018

Il tempo dell’intolleranza. Filippo Riniolo porta l’attualità allo Spazio 44 di Roma

 

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In una strada laterale di una zona della Roma borghese, dove il contemporaneo non è usuale, in un piccolo luogo dedicato a varie forme di pratica artistica, lo Spazio 44, scendendo alcuni gradini, si scopre una mostra piccola per numero di pezzi, giovane per l’età dell’artista, Filippo Riniolo (Milano 1986, vive e lavora a Roma), prima prova di curatela di una giovanissima curatrice, Valentina Muzi. Ma non piccola per la tragica attualità del messaggi che, attraverso le poche opere esposte, riesce a far uscire da quel piccolo luogo. 
Per “Se tu li guardi bene e li ascolti”, visitabile fino al 6 luglio, Riniolo, che già ha alle spalle mostre personali che affrontano temi politici e sociali, presenta alcune grandi foto stampate su legno, dove sono ritratti gruppi di quelle persone che abbiamo finora socialmente escluso, per motivi di razza, orientamento sessuale o povertà e che, con l’aria che tira, dovremmo imparare a emarginare sempre di più. Qui l’artista interviene riprendendo l’antica tecnica bizantina e invertendola concettualmente, perché ricopre con foglia d’oro i volti di alcuni nella folla ma sono quelli dei più emarginati tra gli ultimi, rendendo così questi lavori esempi di icona laica in terra occidentale. 
All’angolo della stanza, un’istallazione a forma di paravento, bianco e lineare, ripara, creando una sensazione d’intimità e sospensione temporale, una piccola scultura, formata da un vecchio vaso dalle sembianze tipicamente mediterranee, dove l’artista ha incollato dei piccoli carillon metallici. Le nenie sommesse, tipiche delle ninne nanne infantili e che si azionano qui meccanicamente, seduti su uno sgabello posto di fronte al vaso, evocano il tentativo angosciante e disperato di una delle tante madri dei quei giovani migranti che attraversano quasi ogni giorno il mare. Una madre, nello strazio dell’inaspettata solitudine, davanti al mare, prega per calmarne le onde attraverso questi suoni dolci e tranquilli e implora per rafforzare la sua materna protezione per quel figlio nato, come lei, dalla parte sbagliata del mondo e che oggi vede dolorosamente partire alla ricerca forzata di qualcosa di migliore, verso la parte di mondo dove la fortuna e l’agio esistono da secoli. Dove forse non esiste altrettanta compassione, rispetto per il diverso e matura ragionevolezza, ma questo lei ancora non lo sa. 
In un’altra piccola stanza, Riniolo presenta un gruppo di fucili, che invece di sparare, insieme formano uno strumento, con il quale aveva suonato Bella Ciao sulla base dello stesso canto popolare cantato in lingua curda, nella performance presentata nella sua mostra “I Latitanti sono loro” a Casa Vuota, a Roma, nel 2017, a cura di Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo. Un’urgenza sentita all’ultimo momento, in seguito agli ultimi dolorosi fatti di cronaca, quelli delle nostre campagne del sud dove, per raccogliere i pomodori sotto il sole a pochi euro l’ora, ancora si privilegiano i migranti invece di riservare quel lavoro agli italiani ma forse presto questo diritto italico verrà ristabilito. Dice di averla sentita cantare dai curdi durante la sua residenza d’artista a Istanbul nel 2015, durante la quale aveva anche approfondito le tecniche bizantine. Dice che chi l’aveva invitato in residenza lì è scappato da quel Paese, chiudendo la galleria. Dice che i suoi amici curdi non riesce a sentirli più, di questi tempi. I temi dell’emarginazione, del razzismo, della violenza, non sembrano destinati a passare ancora per molto, in questa parte più fortunata del mondo. (Cristina Cobianchi)

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