12 luglio 2018

DANZA

 
Sulla musica di Bach, Anne Teresa De Keersmaeker dà forma all’astrazione. Al Teatro della Pergola di Firenze
di Giuseppe Distefano

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Tra luce piena e buio rischiarato, tra suono continuo e silenzio improvviso, a stupire, per bellezza, sono soprattutto alcune sequenze in cui i movimenti di danza trovano una corrispondenza perfetta con la musica, quasi un prolungamento con quelle note che escono dal violoncello come onde fluttuanti sul corpo, o, in altri momenti, come dardi che lo attraversano senza prima avergli inferto delle vibrazioni. E sono linee nette, orizzontali, poi verticali, poi a terra, quindi in aria, tra diagonali, cerchi e rotture di segni che i danzatori rilanciano in un continuo fluire dopo soste e immobilità improvvise, sospensioni, volteggi e cadute. Per il resto ci appaiono come rigorosi esercizi di movimento, un po’ freddi, cerebrali, astratti, come lo è la musica delle 6 Suites di Bach, ma lasciandoci immaginare e interpretare emozionalmente i temi, quali la natura, vita, la morte, la redenzione, che hanno mosso la retorica dei movimenti creati da Anne Teresa De Keersmaeker nello spettacolo Mitten wir im Leben sind, titolo che, tradotto, significa “Nel mezzo della vita noi siamo/ circondati dalla morte”. Alle suites del compositore tedesco De Keersmaeker applica questo appellativo preso da una formulazione di Martin Lutero, frase scoperta incisa anche sulla tomba di Pina Bausch. La nuova creazione di De Keersmaeker – spettacolo di punta del festival Fabbrica Europa, ospitato, in collaborazione con il LXXXI Maggio Musicale Fiorentino, al Teatro della Pergola di Firenze –, dimostra ancora una volta la propensione della coreografa belga a lavorare sulla relazione tra musica e danza, con un pensiero e un vocabolario minimalista. Protagonista indiscussa della scena coreografica europea fin dagli anni Ottanta, De Keersmaeker con la sua compagnia Rosas, ha sempre tenuto in forte considerazione la musica in rapporto al movimento, unito alla ricerca spazio-temporale e alla reiterazione gestuale. L’attenzione è sempre stata verso i compositori del Novecento, primo fra tutti Steve Reich, sulla cui musica creò Fase, spettacolo del 1982 che la rivelò a soli vent’anni dopo aver lasciato il Mudra di Bejart. 
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Anne Teresa De Keersmaeker, Mitten wir im Leben sind
Da allora altre creazioni sono seguite sulla musica delle sperimentazioni contemporanee e di Bartók, Berg, Schönberg, Gérard Grisey, fino al jazz di Miles Davis e di Coltrane. Ma De Keersmaeker più d’ogni altro predilige Bach del quale ricerca, attraverso una scrittura coreografica astratta, l’essenza del suo linguaggio musicale. E Mitten wir im Leben sind/Bach6cellosuiten lo esprime in pieno. Lo spazio completamente vuoto, nella sua nudità di legno e cemento della Pergola di Firenze, viene assorbito dalla presenza pulsante di un singolo danzatore alla volta per le rispettive suites annunciate sempre da un gesto del braccio e delle mani  dalla stessa De Keersmaeker (ma assente a Firenze, a causa di un infortunio, e sostituta dalla smilza Femke Gyselinck) anche lei, a tratti, in scena in fugaci duetti e nel tracciare, insieme agli altri quattro danzatori, sul pavimento del palcoscenico con un nastro adesivo colorato, schemi geometrici di cerchi, pentagrammi e linee intersecanti. Qui il posizionamento del musicista Jean-Guihen Queyras, inizialmente seduto di spalle verso il pubblico, poi di profilo e ai lati, frontale e centrale, e con i danzatori sempre adiacenti ad esso, detta anche le loro simmetrie, il loro circoscrivere lo spazio accentuando l’asse verticale, enfatizzando anche la gravità e il loro camminare in diagonale fin sul fondo e ritornare indietro con passi alternati o esitanti: sequenza, questa, ripetuta a turno, e infine coralmente, in un proseguimento di gesti e una reiterazione che richiamano quelli di chi li ha preceduti. Con pause di braccia aperte e di una gamba leggermente sospesa, che preparano nuovi avvii, i danzatori incidono nello spazio torsioni, slanci delle braccia che progressivamente evolvono in movimenti più complessi a terra e per aria; assecondano la circolarità che da sempre impronta il codice gestuale della coreografa; disegnano segmenti fisici e spaziali del corpo. Tutte qualità emozionali del movimento ricondotto ad una essenzialità introspettiva. A renderla palpabile, densissima, è, nella quinta suite, il lungo momento in cui il violoncellista rimane solo e nel silenzio assoluto immerso nel buio della scena, illuminato appena da un fascio di luce che proietta la sua ombra con la quale sembra dialogare. Poesia pura.
Giuseppe Distefano

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