20 giugno 2018

DANZA Tomorrow Land

 
L’esplosiva energia punk-rock del trio Chambon-Charron-Belot
di Giuseppe Distefano

di

Coppia artistica e nella vita da diciotto anni, Annabelle Chambon e Cédric Charron rappresentano i danzatori-feticcio di Jan Fabre, per i quali egli ha creato lavori emblematici come l’assolo Preparatio Mortis per lei, e Attends, attends, attends…(pour mon père) per lui,  esaltando di ciascuno l’unicità di performer dalle potenti qualità fisiche ed espressive. Qualità che incarnano quel teatro debordante del geniaccio Fabre. Da performer al servizio di progetti artistici comuni e di ricerca collettiva quali sono all’interno della compagnia Troubleyn dell’artista fiammingo e membri del Jan Fabre Teaching Group, i due sono anche autori di spettacoli personali e progetti autonomi da quando si sono messi alla prova costituendosi come gruppo sotto l’etichetta Label Cedana. Da allora sono nate creazioni come I promise this in the last time, e, nel 2017, Tomorrowland, quest’ultimo presentato al Napoli Teatro Festival 2018, una babelica performance sulla creazione dove i corpi nervosi sono corde tese che vibrano e dai quali scoccano gesti come frecce che invadono la scena. La danza elettrica e tracimante, priva di forma, che ne scaturisce, segue il ritmo della musica live eseguita Jean-Emmanuel Belot. 
Ed è lui a dare il via allo spettacolo, presente in scena mentre il pubblico entra e si assesta, intento ad occhi chiusi a percuotere con due bacchette in mano una batteria immaginaria. Nello spazio scenico disseminato di piccoli tronchi di legno argentati utilizzati come masse d’inciampo, come pedane e totem, si incastonano uno alla volta i due danzatori deformandosi il naso all’insù con una striscia di nastro adesivo alterando buffamente l’espressione come una maschera facciale di Bacon. 
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Tomorrowland, foto Salvatore Minopoli
A determinare i loro movimenti sarà il suono del rock elettronico e martellante creato dal sintetizzatore vintage, mentre presto le azioni trasformeranno la scena in un campo di battaglia. Tra piume esplose da un cuscino, caramelle buttate violentemente sul pubblico, microfono scaraventato a terra, lavagne e cartelli con scritte che scandiscono le sequenze e danno voce ai pensieri del trio, con la lingua dipinta di rosso e i visi, successivamente, sporcati di paillettes viola, la loro energia creativa che dà origine a Tomorrowland, verte attorno alla questione di Jean Baudrillard: «What are you doing after the orgy?», «Cosa farete dopo l’orgia?». E sono gli stessi autori a spiegarlo: «Prima di tutto si mette il corpo sulla scena: organi, cervello, sesso, sistema nervoso. Lo si getta nello spazio aspettando le prime associazioni di idee; si cerca la frizione, l’attrito, la scomodità. Non proiettiamo il corpo nella forma, sperimentiamo degli stati di corpo; carichiamo l’immaginario e il corpo agisce e reagisce…la sensazione è vibrazione, il corpo si veste di interiorità per generare lui stesso un contenuto». Questo il senso della performance, che non segue una narrazione, né una struttura leggibile, codificabile, ma che esalta quel credo estetico ereditato da Fabre dove c’è il corpo con la sua capacità di inventare sensazioni rigorosamente borderline. 
Nel susseguirsi scomposto delle azioni i due si svestono dei semplici pantaloni, camicia e t-shirt, rivelando sotto dei boxer argentati mentre infuria una danza ritmica sulla cui onda subito si rivestono delle braghe solo con lo spostamento disarticolato delle gambe, per rivestirsi ancora, successivamente, di indumenti rosa. Istintivi, elettrici, casuali, i movimenti ora ginnici, ora forsennati, ora meccanici, sembrano nascere dagli impulsi iniziali che si generano dall’assunto programmatico di voler sfidare la legge di gravità – “Fottuta gravità” è la frase iniziale che campeggia su uno dei cartelli mostrati, alla quale seguiranno altre asserzioni come “Noi siamo nel vuoto infinito” – lasciando il corpo in balia degli stati emotivi, libero di espandersi, di scoprire nuove possibilità. E intanto Cédric si sarà lanciato verso il pubblico legato da una fune elastica che prima lo trattiene impedendogli di allungare i gesti, poi lo scioglie facendolo volare, per atterrare esausto a terra. la coppia balla ancora dopo aver sperimentato ancora voci, suoni, grida, ululati, alterati al microfono, e ansimanti raggiungere lo sfinimento mentre sempre più esplode la musica accompagnata dallo sberleffo del trio, infine riunito, con la lingua di un colore rosso acceso. Quella di Einstein, il padre della teoria della relatività.  
Giuseppe Distefano

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