23 giugno 2018

L’intrigo e il desiderio

 
Al MEF di Torino Duane Michals, l’artista della fotografia che si ispirò ai Surrealisti e all’assurdo, e che ha messo a confronto vita e morte. “Stressando” il medium

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In occasione della kermesse Fo.To. il Museo Ettore Fico presenta la retrospettiva del maestro dell’avanguardia statunitense Duane Michals. La retrospettiva intitolata all’artista indagatore di molteplici campi narrativi, organizzata in collaborazione con la Fundaciόn Mapfre di Madrid, è fra i progetti più interessanti della manifestazione ideata dal direttore Andrea Busto, interamente dedicata ai linguaggi della fotografia. 
A cura di Enrica Viganò, la mostra è suddivisa in varie sezioni tematiche e conta ben centosessanta immagini. Una vera e propria testimonianza tangibile della filosofia di vita di Michals prima ancora che della sua carriera artistica. 
Capace di anteporre i contenuti a derive narcisistiche, l’estetica di Duane Michals fonda le sue basi in una visione surrealista fortemente influenzata da artisti come Magritte e Balthus. A questa “bellezza convulsa” aggiunge un’indagine sperimentale, un metodo messo in opera per testare le proprietà e i limiti del mezzo fotografico. Gli esordi fotografici di Michals sono un vero e proprio tuffo nel mondo del reportage: nel 1958 durante un viaggio in Unione Sovietica si approccia alla fotografia ritraendo soggetti comuni: passanti, marinai, scolari immortalati però sempre secondo una chiave introspettiva, un alone di mistero. Successivamente abbraccia una pratica esclusivamente concettuale. Nel 1966 cede ai virtuosismi della tecnica: crea le sequenze fotografiche. 
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Duane Michals, Magritte
Un’intuizione che sta tutta nel contrasto all’egemonia del fermo immagine, una pratica che può anche essere vista come una continua verifica delle potenzialità del dispositivo fotografico, a partire dalla basicità di un unico frammento, che lo discosta dallo status di mero fotografo, e che gli attribuisce la fama di artista della fotografia. Crea un algoritmo formale, unico nel suo genere, che ripropone nell’esplorazione di temi e soggetti rappresentati: dai profili scultorei, a melodrammi urbani celati nella penombra degli appartamenti, a scorci di strade vuote foriere di incontri misteriosi. Adopera interventi testuali sotto forma di appunti o versi poetici che diventano sublimazione della sua poesia visiva e corollario del suo approccio narrativo: una guida espressiva per non incorrere in errori interpretativi. Si avvale della metafora del metalinguaggio per spiegare i rapporti tra dimensioni reali e squilibri immaginari – è il caso di The Things are Queer – che, attraverso una serie di rappresentazioni illusorie, laddove l’una include l’altra, semina il dubbio e lo spaesamento nell’osservatore: rappresentazioni dell’assurdo, continue sostituzioni e sovrapposizioni. 
È l’esaltazione di quello che i surrealisti come Aragon, Brassaї e Breton chiamavano “mondo moderno”, un mondo zeppo di rimandi. In Heisenberg’s magic mirror of uncertainity gioca con le superfici specchianti, si fa beffa del campo fotografico dove la seconda rappresentazione del soggetto raddoppia la prima. In fondo Michals ha sempre creduto che le fotografie fossero immagini virtuali, illusorie, e non rappresentazioni del mondo reale. I ritratti dedicati ai personaggi del jet set internazionale e ai grandi artisti del novecento sono incontri straordinari che giustificano il suo citazionismo, una ricerca che comprende anche ambiti quali il mondo della moda e della musica: ne è un chiaro esempio l’iconica copertina del fortunato album Syncronicity dei Police.
Il lavoro di Michals avvicenda questioni profonde come la vita e la morte, l’illustrazione dei miti classici e moderni; l’esplorazione di un mondo interiore e di una dimensione onirica che si cela al di là dell’immagine, che sospende tutte le informazioni percepibili al primo contattato visivo, tralasciando tutto ciò che non sia intrigante e desiderabile. 

Rino Terracciano

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