30 luglio 2018

AVANTI&INDIETRO

 
Incontro con l’artista Glenda Leon: sulle differenze tra Cuba e Spagna, e su una pratica che cerca l’unione tra visibile e invisibile di Raffaele Gavarro

di

La sesta conversazione di “Avanti&Indietro” è con Glenda Leon, artista nata a La Habana nel 1976 e residente tra la Capitale di Cuba e Madrid. Lavora utilizzando diversi linguaggi, dal disegno alla fotografia, dal video all’installazione. Nella home del suo sito web dice di sé che è interessata ad indagare negli interstizi che ci sono tra il visibile e l’invisibile, tra il suono e il silenzio, tra l’effimero e l’eterno. Cerchiamo di capire come.
Inizierei dunque da questa dichiarazione sul tuo lavoro, anche perché è tanto precisa quanto ricca di suggestioni. Quali e come sono gli interstizi tra il visibile e l’invisibile, tra il suono e il silenzio, tra l’effimero e l’eterno, ai quali rivolgi la tua attenzione? Cosa stai scoprendo in loro?
«L’essere umano contemporaneo è ossessionato dalla classificazione, dal nominare e dal controllare tutto. Ecco perché sono interessata agli interstizi creati dalla combinazione di due elementi ben definiti: sono spazi che non possono essere nominati. Nelle mie opere, il nuovo deriva sempre dall’unione tra due cose già note. Negli interstizi che si creano a causa di questo gesto, io credo che si possa trovare il significato. Ad esempio: sono attratta da ciò che può accadere nelle persone quando vedono un oggetto potenzialmente sonoro trasformato in un oggetto silenzioso. Mi piacciono gli spazi che si creano tra il suono possibile che l’oggetto contiene e la nuova forma che gli conferisco, quell’esperienza in cui si uniscono il visivo e il suono – dove il suono non è ancora musica e dove il visivo è materia. Dopotutto, il mio lavoro è il risultato di una profonda immersione nella realtà, è la conseguenza di un’osservazione in uno stato di piena consapevolezza, di silenzio. In tal modo, le relazioni iniziano ad apparire, le risposte cominciano ad essere ascoltate e questo è ciò al quale do forma, ciò che porto alla superficie».
null
Canalización Video still 0:02:28,14 © Cortesía de la artista
La realtà è una delle questioni centrali dell’arte, naturalmente da sempre. Ma oggi, diversamente da ieri, la realtà non è più l’oggetto della rappresentazione, quanto il campo nel quale l’arte interviene direttamente. L’opera d’arte si costituisce come parte attiva della realtà, come un elemento che la forma al pari degli altri. Un processo che include quella dimensione digitale, che non è più un semplice riflesso della realtà, ma appunto anch’essa una parte che forma la complessità della realtà attuale. Ultimamente mi sono convinto, e ho scritto, che per conoscere il senso e il ruolo dell’arte di oggi, non possiamo prescindere dalla comprensione di cosa sia oggi la nostra realtà. Indagare lo spirito della realtà (la realitätsgeist) appare dunque come un modo decisivo per arrivare all’opera d’arte e a quella funzione estetica, oggi così diversa da quella elaborata nei secoli scorsi, compresa buona parte del Novecento.
Tu vivi tra Madrid e La Habana, due realtà molto diverse tra loro. In che modo vivi e agisci in questa diversità, in quali interstizi hai trovato il senso delle cose?
«La realtà di Cuba è quella nella quale sono cresciuta, ma non è stata un’esperienza così convenzionale come si potrebbe immaginare. Sono infatti cresciuta in una famiglia cubana, ma anche con un’altra greco-americana, che mi ha dato la capacità di capire la realtà guardandola da una certa distanza. Ho così avuto accesso a una sorta di altra realtà nella realtà, e penso che sia stata una delle cose che mi ha arricchito e ha aperto la mente in modo da riuscire a vedere il mondo in modo diverso. Ma naturalmente Cuba è tutto ciò che tutti immaginano: ritmo, musica, danza, le influenze africane, l’assurdità che pervade ogni momento, la presenza di un sistema socialista di tipo sovietico su un’isola tropicale, la mancanza di una religione – cosa che mi ha fatto vedere la religione e il culto da un punto di vista più puro o neutrale -, la mancanza di pubblicità commerciale – che mi ha dato modo di guardare e comprendere il mondo capitalista ad un’altra velocità. Di conseguenza, questa realtà socio-politica di Cuba ha provocato in me una totale avversione per tutto ciò che è militanza: incontri, code, tumulti, sono eventi dai quali sono fuggita, perché ho vissuto anni in cui non potevo evitarli, ma questo solo in un senso fisico, perché nella mia mente ero libera. A Madrid mi sento la benvenuta, avverto la presenza dei miei antenati. Una delle prime cose che ho fatto, quando ottenni la borsa di studio e arrivai in questa città, fu quella di andare a Puebla de Sanabria, a vedere la casa della mia bisnonna, dove incontrai una persona che l’aveva conosciuta e trovai persino una sua foto inchiodata al telaio di una porta della sua vecchia casa.  Madrid è anche il luogo dove posso realizzare i miei progetti più ambiziosi, perché molti di questi progetti richiedono tecnologie e materiali che non esistono a Cuba. È una città e un Paese che mi ha aperto le sue porte: ho esposto al Matadero di Madrid, al CAAM delle Isole Canarie, due musei molto prestigiosi di questo Paese, e nel Museo Lázaro Galdeano ho realizzato un happening per Kreemart, al quale hanno partecipato molte persone. Ma prima di tutto ciò, ho iniziato a lavorare con la Galleria Senda di Barcellona. In un tempo molto breve la Spagna si è dimostrata molto ricettiva verso il mio lavoro e per questo le sono grata e spero di continuare a darle il mio contributo. Ma dove trovo il vero senso delle cose è dentro di me, dove si aprono quegli interstizi all’interno dei quali queste due realtà che vivo si mescolano».
null

Palabras secretas 2003-2014 Installation view at the artist solo exhibition Hacia el silencio, Galería Senda, Barcelona, Spain, 2014 © Glenda León. Courtesy of the artist

A proposito del vero senso delle cose, che cerchiamo dentro e fuori di noi, mi vengono in mente due dei tuoi lavori video, Canalizaciòn del 2014 e i due episodi di Delirios del 2010. Sembrano raccontare di due estremi sia interiori che esteriori, di due verità alle quali è possibile giungere in un momento di estrema lucidità o, se preferisci, magico. Pensi mai alla verità come un obiettivo che puoi raggiungere con il tuo lavoro?
«La verità è qualcosa che potrei definire come una sorta di “segreto” che sta dietro il mio lavoro. In video come quelli che hai citato per esempio, la verità è un elemento chiave, poiché il significato sta in una sottile manipolazione di ciò che percepiamo come reale: in Canalización è il suono delle diverse sequenze l’unica cosa ad essere stata modificata; mentre in Delirios, la verità viene rivelata dopo un impatto che dura un‘istante, diventando una metafora di quei risvegli improvvisi che possono fornirci una visione. In un certo senso mi vedo come Sergio, il protagonista di un importante film cubano, un capolavoro del 1968, intitolato Memorias del Subdesarrollo (Memorie del sottosviluppo) di Tomas Gutiérrez Alea, che decise di rimanere a Cuba dopo la rivoluzione e andava in giro guardando i cambiamenti in atto a Cuba e riflettendoci in modo critico e distaccato, direi filosofico. Nell’intenzione di cercare la verità è stato per me inevitabile chiedere aiuto alla filosofia. Già a 15 anni avevo letto alcuni testi di Nietzsche, e ricordo che quella lucidità mi colpì moltissimo, portandomi a una vera e propria identificazione con quel pensiero così radicale e profondo. Bisogna riconoscere che la verità, anche nei semplici termini di onestà, sta diventando una condizione molto rara tra gli esseri umani. Predomina la falsità, la fiction, anche nella realtà. Anzi direi che non c’è più la preoccupazione di capire cosa sia reale, ma non sto parlando della banale opposizione tra reale e virtuale. La verità per me in termini di visualizzazione ha a che fare con il minimalismo e con la mia inclinazione a mostrare l’essenza delle cose e non le questioni marginali. Penso sia un modo per passare dal personale all’universale. Ma a volte la verità può far male, come nell’installazione Wasted Time (2013), dove la metà di una clessidra è in cima a una montagna di sabbia. Alcune persone mi hanno detto che questo lavoro ricorda loro il tempo sprecato, irrimediabilmente perduto, nella loro vita. È una cosa triste, ma spero che questo lavoro possa renderli consapevoli di ciò, e alla fine permettergli di fare qualcosa al riguardo. A proposito di momenti di estrema lucidità, o di magia, coloro che li hanno vissuti sanno che uno dei sentimenti più forti che si possono provare in quegli istanti è di sentirsi vicini, di avere accesso a una qualche verità. Spero che in alcuni casi il mio lavoro riesca a produrre qualcosa di simile».
null

Música concreta 2015 Piano 97,5 x 146 x 160 cm Installation view at the Center for the Development of the Visual Arts (CDAV), 12th Havana Biennial, Cuba, 2015 © Glenda León. Courtesy of the artist

Magical found object è proprio il titolo di alcuni tuoi lavori del 2003, mentre il segreto, l’invisibile, è il senso di Secret words sempre del 2003. Ma qualcosa di misterioso, o meglio di enigmatico, è presente anche in più recenti lavori come Concret music del 2015 e Transitive states: religious word del 2016. Ma, almeno a me, questi tuoi lavori, suggeriscono l’invito alla scoperta, ad entrare nella realtà e a cercare di comprenderla, partendo da un punto di vista e facendo un percorso inconsueto e destabilizzante. É possibile dunque che la verità si trovi alla fine di un percorso magico nella realtà?
«Quando ho realizzato la mostra personale “Realidades Magicas” a L’Avana nel 2003, c’erano due righe significative nel piccolo catalogo: “Ci sono realtà che sono magiche, c’è una magia che è vera”. Una frase che potrebbe essere attribuita a Paul Eluard, anche se in quel momento non lo sapevo. In questo contesto si iscrive la serie di Magical found object, mentre Secret words, un libro nero inserito nel muro, è un lavoro sulla censura dei mezzi di comunicazione, che ho realizzato fatto per una mostra all’Espacio Aglutinador, per decenni l’unico spazio alternativo e rispettabile esistente a L’Avana.  Ma vorrei che fosse inteso come riferimento a tutti i tipi di censura, e anche all’impossibilità di accedere alle informazioni e alla conoscenza in generale.
In generale, un percorso insolito e destabilizzante, come hai detto, può certamente essere il percorso verso la verità, e la magia, perché fino a che continuiamo ad avere le stesse connessioni mentali rispondendo allo stesso modo al mondo esterno, è probabile che ogni giorno sia molto simile al precedente e al successivo: in questo modo attraversiamo il mondo senza percepire davvero la vita: per vivere la vita dobbiamo riconoscerla in ogni foglia, in ogni albero, in ogni respiro. Penso, spero, che questi lavori possano aiutare a rompere quelle connessioni cerebrali basate sulla routine, ma anche la cecità sensoriale di cui siamo vittime, risvegliando le persone attraverso la visione di un altro mondo che è in questo».
null

Tiempo de las Américas 2017 Hourglass. Soil from the southern side of the Panama Canal, soil from the northern side of the Panama Canal 10 x 23 x 10 cm 3 + 1 AP © Adán Vallecillo. Courtesy of Glenda León

Nel 1896 Nietzsche scriveva nel noto saggio intitolato Su verità e menzogna in senso extramorale: “Che cos’è dunque la verità? Un esercito mobile di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane, che sono state sublimate, tradotte, abbellite poeticamente e retoricamente, e che per lunga consuetudine sembrano a un popolo salde, canoniche e vincolanti: le verità sono illusioni, delle quali si è dimenticato che appunto non sono che illusioni, metafore, che si sono consumate e hanno perduto di forza, monete che hanno perduto la loro immagine e che quindi vengono prese in considerazione soltanto come metallo, non più come monete.” 
Circa 85 anni dopo, nel 1981, Jean Baudrillard nel suo Simulacri e simulazioni scrive: “Il fatto è che ci troviamo in una logica della simulazione, che non ha più niente a che vedere con una logica dei fatti e un ordine delle ragioni. La simulazione è caratterizzata da una precessione del modello, di tutti i modelli, rispetto al più piccolo fatto – i modelli vengono prima: la loro circolazione, orbitale come quella della bomba, costituisce il vero campo magnetico dell’evento. I fatti non hanno più una traiettoria propria, nascono all’intersezione dei modelli; uno stesso e unico fatto può essere generato da tutti i modem contemporaneamente.”
Oggi, 37 anni dopo, siamo oltre. Viviamo contemporaneamente in una biosfera e in una infosfera nelle quali la logica della simulazione, qualcosa di assimilabile ad un’illusione algoritmizzata, ha perso qualsiasi riferimento alla precessione di qualsiasi modello, ma il tutto si presenta in modo temporalmente coevo e spazialmente unico, senza soluzione di continuità. Allora mi domando, pensando anche alle tue parole: dove riusciremo a trovare la vita? E soprattutto come riusciremo a riconoscerla oggi? 
«La risposta è sempre dentro di noi, ma è necessario un silenzio tremendo per ascoltarla. È un’esperienza, e “l’esperienza è una specie di paralisi”, come disse Erik Satie. Ma succede che l’attenzione, o la massima concentrazione delle persone oggi sia rivolta alle apparenze, alla superficie; parlare di essenza, della verità, della vita, sembrano cose ridicole, cose totalmente fuori dal tempo nel quale siamo, quindi proprio queste cose, rappresentano per me il vero politico. Perché l’essere umano che riesce a guardare il suo caos interno è colui che riesce a vedere il mondo esterno in modo più chiaro. Perché come puoi cercare un ordine nel mondo se la tua casa è un disastro? Se il tuo corpo è sbilanciato? Pertanto, in un momento in cui non c’è nulla di più importante di quella foto con così tanti like che hai postato l’altro giorno, parlare della verità è probabilmente la cosa più contraria a questa logica che si può immaginare. Ma non voglio dire che si può riconoscere la vita o la verità gettando il cellulare fuori dalla finestra, ma solo che “la vita è altrove”, come ci ha insegnato Milan Kundera. Quando tutti i rumori, i paragoni, i desideri, le insoddisfazioni, le insicurezze, sono messe a tacere, quando tutto questo muore, il percorso per arrivare a quell’incontro con l’altrove diventa chiaro. La frase di Nietzsche che citi mi piace molto perché ha a che fare con il video Inversión (2011), nel quale ho raschiato una banconota da 100 dollari americani per poi annusarla. Ci sono verità che sono relative, e sono sempre stata interessata alla molteplicità delle probabilità, ma una verità innegabile è che una moneta è un pezzo di metallo inciso, e un biglietto è una carta stampata. Il resto è solo una convenzione sociale, eppure ha causato così tanti problemi per secoli! Forse è per questo che mi piace presentare le verità sociali denudate, smantellando quelle convenzioni strutturate e radicate per mostrare la loro vera essenza. Sono consapevole che ci sono molte persone a cui questo non piace, ma ci sono anche quelli che così ritrovano una identità. In questi tempi in cui gli artisti copiano fino alla nausea e sono legittimati da istituzioni e collezionisti; dove il presunto artista attivista vive una vita totalmente estranea da coloro i cui interessi rivendica di difendere, parlare di verità e di ricerca della vera vita diventa un fatto così surreale, da essere il più rivoluzionario. Secondo me e in quella di molte persone come Jiddu Krishnamurti, questa è la ricerca necessaria, perché come puoi cercare la perfezione nel mondo se dentro di te c’è il caos? Ma in realtà è la cosa più facile da fare: vedere tutto il male fuori di te, perché scoprirlo dentro sé stessi è difficile e pericoloso, e talvolta molto doloroso».
Raffaele Gavarro
Traduzione dallo spagnolo di Raffaele Gavarro

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui