19 luglio 2018

Lettera per Banksy. Dal carcere

 

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L’artista e giornalista turco-curda Zehra Dogan ha scritto e inviato una profonda lettera a Banksy, ringraziandolo per il murale che ha presentato a New York lo scorso marzo, per protestare contro il suo arresto.
L’artista di strada di Bristol ha pubblicato la lettera, scritta a mano, sulla sua pagina instagram. 
Dogan inizia descrivendo le condizioni in cui si trova, “in un sotterraneo che ha una storia di sanguinose torture, in una città con molti divieti, in un Paese negato”.
La missiva è illegale, spiega Dogan, perché le è stato imposto un “divieto di comunicazione” che le impedisce di fare telefonate o inviare lettere. “Sto scrivendo e consegnando questa lettera in modo clandestino”, spiega.
Nel marzo 2017, Dogan è stato condannato a due anni e dieci mesi di prigione per aver pubblicato sui social media un dipinto sulle rovine fumanti della città curda di Nusaybin dopo la sua distruzione da parte delle forze di sicurezza turche.
Un anno dopo, Banksy, in collaborazione con il graffitista Borf, ha realizzato un murales sulla Houston-Bowery raffigurante una raccolta dei giorni che Dogan trascorrerà in prigione. Il pezzo include un ritratto della donna, mostrata intrappolata dietro le sbarre, una delle quali però è una matita. Per diverse notti, Banksy ha proiettato un’immagine del dipinto originale di Dogan sopra il murale.
Nella sua lettera, Dogan racconta come i detenuti possono sentire “i suoni orribili di dozzine di aerei da combattimento che partono per bombardare le nostre belle terre, montagne e città”. Continua: “È molto difficile descrivere la sensazione di leggere che qualcuno che conosci viene ucciso quasi ogni giorno” e il suicidio non è raro in carcere, dice Dogan. “In giorni come questi, non si può sopportare di vivere”.
La lettera di Dogan si conclude esprimendo la felicità che lei e le sue compagne hanno sentito leggendo della protesta di Banksy sui giornali. “Lontano da me e dalla nostra gente, è stata la migliore risposta al regime disonesto che non può nemmeno tollerare un dipinto”, dice.
“Con il tuo sostegno, la mia pittura ha compiuto la sua missione di mostrare le atrocità … Non potrò mai ringraziare te e Borf abbastanza. Non potevo immaginare che la mia arte sarebbe stata proiettata in una città come New York. Mi sento più forte e ora dipingo la città iraniana-curda di Afrin”.
Dogan, in carcere, non ha accesso a tele e pittura, e crea opere su carta rimanente con “colori” che produce da cibo, bevande e dal suo stesso sangue, stando a quello che dice un portavoce di “Free Zehra Dogan”, un gruppo di attivisti che fa pressioni per la sua liberazione.

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