30 luglio 2018

Martin Kippenberger a Palermo

 
L’Istituto Svizzero presenta nel capoluogo siciliano la mostra “Martin Kippenberger. The Museum of Modern Art Syros”, presso la Fondazione Sant’Elia

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Nel 1997 Martin Kippenberger moriva a Vienna, quando al MAMCO di Ginevra si organizzava la retrospettiva sui quattro anni di storia del suo non-museo. MOMAS. Non un museo immaginario, ma un luogo scisso dall’agenda istituzionale, che, dalla periferia geografica del mondo dell’arte, cercava di metterne in evidenza i limiti, di provocarne le contraddizioni e le fallaci incoerenze. Da quel momento tutto il materiale prodotto e raccolto per la mostra, gli ultimissimi lavori di Kippenberger, che da lì a poco sarebbe morto giovanissimo, sarebbe rimasto nei magazzini del museo ginevrino. Ma il corso delle cose, spesso soggetto a fatali e imperscrutabili percorsi della storia, ha voluto che qui a Palermo, in un’isola, in una città del sud d’Europa, fino ad oggi confinata al polo meridionale del coacervo d’interessi legati al contemporaneo, ritrovassero vita i codici strutturali dell’ultima deriva della prolifica vita artistica e riflessiva di Kippenberger. 
I parallelismi affiorano prepotenti: Palermo, come Ermopoli, città isolana e isolata rispetto al mondo dell’arte, la Fondazione Sant’Elia, le sue cavallerizze colonnate, le vetrine che affacciano sulla strada, museo senza collezione permanente, sede espositiva dall’identità mutevole. In questo contesto, come evento collaterale di Manifesta12, approda il progetto curato da Samuel Gross e voluto dall’Istituto Svizzero, in collaborazione con il MAMCO Genève, Galerie Gisela Capitain di Colonia (Estate di Martin Kippenberger) e WONDERLUST#rome. Deve essersi sin da subito palesata una qualche lata assonanza con la visione che l’artista tedesco ebbe quando nel 1991, in compagnia dell’amico Michel Würthle, rimase folgorato dalla struttura spigolosa di un mattatoio in costruzione, anatomia scheletrica che affacciava sul porto della città dell’isola di Syros. La grande intelaiatura cementizia, abbandonata su un punto eminente della città, così assorta in uno stato di dominante desolazione, diventa emblema per Kippenberger di una nuova acropoli, moderno tempio della polis e del sistema dell’arte, luogo che prende forma e senso attraverso il viatico atto fondativo dell’artista. 
È questa la genesi di un museo effimero, che inizia nel 1993 attraverso l’individuazione e la dichiarazione della nuova identità istituzionale di un edificio senza pareti e pavimenti, che, persi i tradizionali connotati strutturali, si lascia invece trapassare dall’ambiente, dagli sguardi e dalle presenze del piccolo pubblico di artisti, amici e conoscenti che di fatti lo “affollavano”. 
Questa paradossale alterazione funzionale diventa però ironicamente serissima per Kippenberger, che appronta l’apparato organizzativo di un vero e proprio museo, nominandosi direttore, definendo un programma espositivo, indicendo conferenze stampa, opening e finissage, producendo e inviando nei musei di tutto il mondo gli inviti. Ma la nuova acropoli è vuota.
Così come testimoniato dai documenti e dalle opere presenti in mostra, arriva dappertutto comunicazione dell’esistenza del un nuovo MOMAS: a partire da un plastico realizzato dallo stesso Kippenberger, Michael Krebber, Lucas Baumewerd e Hubert Kiecol producono progetti e rendering di un fantomatico museo dotato di tutte le dovute componenti strutturali. Christopher Wool ne fotografa le opere, rinvenimenti di oggetti trovati in loco, come quello di Strothjohann, e assurti ad uno statuto artistico, rivelati nelle loro autonome valenze estetiche attraverso la sola dichiarazione di una qualche ontologia. La critica è volta all’arte mainstream, come suggerito dai frottage su carte intestate di hotel di lusso ginevrini, realizzati dallo stesso Kippenberger in occasione della retrospettiva al MAMCO. In questi, la rana con indosso le famose mutande con cui era solitamente ritratto Picasso in molte celebri fotografie, facendo l’autostop da Ginevra a Syros in direzione sud-ovest, di fatto indica un cardine artistico, un nuovo ordine geografico parossisticamente esplicitato.
Si compone di questi lavori la mostra, degli irriverenti collage di Kippenberger, di una delle uniche opere tangibili ed esposte al MOMAS (Stephen Prina, As I remember it), dei manifesti che Heimo Zobernig realizza invece appositamente per questa occasione, del cappello indossato dal guardiano che sorvegliava con cadenza giornaliera la desolante vacuità del museo-delubro. Ma soprattutto anche dello speculativo simposio che per tre giorni ha animato un dibatto sul tema dell’anti-museo all’ex Noviziato dei Cruciferi.
In questo gioco di celate evidenze, l’Istituto Svizzero riporta alla luce il lavoro indefesso di Kippenberger, il suo tempio pagano, emancipato dalla retriva sacralità dell’arte, luogo di silenziosa contestazione, universo immobile che con la sua creatività invisibile dichiara forse la neutralità dello spazio fenomenologico dell’arte contemporanea.
MOMAS è un ludus in cui la consacrazione di un’architettura dismessa a istituzione museale non è altro che un atto di desacralizzazione, atto di resistenza critica, gioco di seduzione che mette in discussione tutti i presupposti e i modelli che ne stanno alla base. Il pensiero non può che correre, con le dovute differenze, alla Critica Istituzionale, al museo di Marcel Broodthaers; guardando alla dimensione giocosa e isolana, al Museo Immaginario delle Isole Eolie di Munari, “un gioco di trasposizioni in cui entra tutto”.
MOMAS potrebbe dunque essere, ad uno sguardo postumo, l’inverarsi delle profezie “assurde” di Ionesco, di un’estetica del paradosso, prologo ed epilogo di una parte della stessa vita di Kippenberger. Un progetto sinestetico che, attraverso la repressione delle pratiche espositive e la configurazione di una nuova anatomia del guardare al sistema dell’arte, crea una realtà fittizia sovrapponibile all’esplicita finzione. L’anti-museo muore di fatti contestualmente alla sua investitura istituzionale, e Martin Kippenberger a seguire, lasciando una sottile cruna aperta sul MOMAS, solo oggi riaperta.
Ed è proprio Ionesco nella sua prima anti-commedia a ricordare la fatalità che a volte ghermisce l’uomo legato alle proprie perspicaci intuizioni sentimentali e speculative. “Un medico coscienzioso dovrebbe morire insieme con il malato, se non possono guarire assieme. Il comandante di una nave perisce con la nave, nei flutti. Non sopravvive mica”. (Giuseppina Vara)
INFO
Dal 19 giugno al 31 luglio 2018
Martin Kippenberger. The Museum of Modern Art Syros
Istituto Svizzero – Fondazione Sant’Elia
via Maqueda 81, Palermo
Orari: dal martedì alla domenica 15.30 – 18.30 
Info: georgia.stellin@istitutosvizzero.it
Ineghomepa: Martin Kippenberger. The Museum of Modern Art Syros, vista della mostra. Courtesy Ela Bialkowska – OKNO studio
In alto: Stephen Prina, As I remember it, scatola di cartone, cassa di legno, Dekorder 7140, 1995. Courtesy Ela Bialkowska – OKNO studio

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