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Parole e nazioni morte, specie estinte, città fantasma, opere d’arte distrutte…cosa hanno in comune queste cose? Sono solo alcuni degli innumerevoli fenomeni che sono esistiti ma che ora non esistono più. Una costellazione di “sparizioni” che saranno al centro del lavoro di Dane Mitchell, dal titolo “Post hoc” per il padiglione della Nuova Zelanda alla 58esima Biennale di Venezia.
Eccone un altro che annuncia i “suoi”, mentre – come abbiamo visto solo ieri – gli Stati Uniti sono in affanno perché dal Consiglio nulla pare si sia mosso.
Il vasto inventario di cose passate sarà in scena alla Palazzina Canonica sulla Riva dei Sette Martiri e in diversi punti della città, dove vi saranno alberi surrogati, mimetici, che “parleranno” agli ascoltatori delle “entità perdute”.
“Dal nostro punto di vista la storia del progresso sembra più una storia di obsolescenza, e uno sguardo retrospettivo acquisisce un’importanza particolare. Rispondendo a questo paradigma, “Post hoc” cerca di materialmente ri-materializzare i fenomeni invisibili, scomparsi e defunti nel presente”, affermano i curatori del progetto Dr Zara Stanhope e Chris Sharp.
“Post hoc”, traducibile dal latino come “dopo questo”, descrive il presupposto che ha un’occorrenza con l’evento che segue.
Mitchell, attivo dal 1999, ha avuto mostre in Nuova Zelanda, Francia, Germania, Brasile, Paesi Bassi, Svizzera, Hong Kong, Australia e Stati Uniti, e partecipato alla Biennale di Sydney 2016; Biennale di Gwangju 2012; Biennale di Liverpool 2012; Biennale di Singapore 2011; Biennale di Lubiana 2011; Busan Biennale 2010 e la Biennale di Tarrawara 2008.
Eccone un altro che annuncia i “suoi”, mentre – come abbiamo visto solo ieri – gli Stati Uniti sono in affanno perché dal Consiglio nulla pare si sia mosso.
Il vasto inventario di cose passate sarà in scena alla Palazzina Canonica sulla Riva dei Sette Martiri e in diversi punti della città, dove vi saranno alberi surrogati, mimetici, che “parleranno” agli ascoltatori delle “entità perdute”.
“Dal nostro punto di vista la storia del progresso sembra più una storia di obsolescenza, e uno sguardo retrospettivo acquisisce un’importanza particolare. Rispondendo a questo paradigma, “Post hoc” cerca di materialmente ri-materializzare i fenomeni invisibili, scomparsi e defunti nel presente”, affermano i curatori del progetto Dr Zara Stanhope e Chris Sharp.
“Post hoc”, traducibile dal latino come “dopo questo”, descrive il presupposto che ha un’occorrenza con l’evento che segue.
Mitchell, attivo dal 1999, ha avuto mostre in Nuova Zelanda, Francia, Germania, Brasile, Paesi Bassi, Svizzera, Hong Kong, Australia e Stati Uniti, e partecipato alla Biennale di Sydney 2016; Biennale di Gwangju 2012; Biennale di Liverpool 2012; Biennale di Singapore 2011; Biennale di Lubiana 2011; Busan Biennale 2010 e la Biennale di Tarrawara 2008.