02 agosto 2018

Il Museo è un’azienda? Domande e risposte, da Dario Franceschini ad Alberto Bonisoli

 

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Estate, vacanze, quel vago senso di leggerezza che si avverte tra i pensieri quando si ripongono le scarpe chiuse e si indossano larghe camicie a righe. Estate, ovvero, in termini economici e sociali, turismo che, fino a poco tempo fa, in Italia, era rappresentato da quella T alla fine di Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Era diventata iconica e bisogna ammettere che, dopo esserci abituati a quella lettera non senza un certo sforzo di tastiera, adesso fa quasi strano tornare indietro e scrivere MIBAC, eppure – pronti, via – Alberto Bonisoli si è ritrovato con una lettera in meno e con tutto ciò che ne comporta, in termini di strategie di sviluppo, di orientamenti politici e di percezione collettiva. 
Dario Franceschini ci aveva puntato forte ed ecco i boom di ingressi, le file davanti ai musei autonomi, i visitatori stranieri in visibilio per i nostri grandi attrattori tirati a lucido, bellissimi, eroi romantici e solitari rispetto ai Poli Museali che, invece, danzavano a un altro ritmo, aggregante, molto prosaicamente, un ballo di gruppo al quale hanno partecipato decine e decine di siti. E quindi i numeri, comunicati alla stampa con precisione certosina e che facevano immaginare allegri tsunami di biglietti. Fu vera gloria? Ha fatto discutere e ha raccolto consensi ma provando a contestualizzare facciamo un veloce passo indietro e ricordiamo che venivamo dalle rime baciate di Sandro Bondi e da slogan buttati lì con la trascurabile superficialità di un tormentone estivo, tipo “con la cultura non si mangia” o qualcosa del genere. Franceschini doveva dimostrare il contrario e senza dubbio lo ha fatto, nel bene e nel male. 
Ma l’ombra lasciata da quella sonante T – che sicuramente farà molto felice Gian Marco Centinaio, il ministro del MIPAAFT-Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo, leghista puro, uomo forte di Matteo Salvini – lascia intravedere un nuovo orientamento che sembra essere già piuttosto chiaro. 
Dopo l’annuncio di Milovan Farronato a curatore del Padiglione Italia e le manovre per il Bonus Cultura dedicato ai giovani – provvedimenti che in un certo senso riguardano le politiche interne, cioè settori e target molto specifici – ecco i ritocchi alle domeniche gratuite, uno dei cavalli di battaglia del precedente dicastero. In tempi franceschiniani, le domeniche gratuite nei musei erano state l’output con il margine di coinvolgimento più ampio, non tanto per la gratuità in sé, peraltro già garantita a diverse fasce di persone, come studenti e under 18, ma per l’evento che riuscivano a generare, con tutti i termini e ritorni di aspettativa, immagine e immagini, cioè di elementi visivi, fotografie diffuse sui social network dagli account dei direttori autonomi e giustamente orgogliosi dei risultati ottenuti. 
Ma Bonisoli, liberatosi dal dolce fardello del turismo, potrebbe anche tentare altre carte e far scivolare in secondo piano questi tipi di numeri, che comunque torneranno lecitamente, considerando che è ormai vetusta l’immagine del museo silenzioso e intimo, frequentato da pochi appassionati, cultori della materia e studenti delle Accademie. Da settembre, infatti, il giorno di gratuità sarà lasciato a discrezione del museo e non è una differenza da poco, visto che, tra le altre cose, in questo modo verrà a mancare proprio la straordinarietà dell’evento di grande richiamo, condiviso su tutto il territorio nazionale, ben identificabile e facilmente comunicabile. Non più quel preciso giorno per tutti ma un giorno per ognuno, presumibilmente in una data diversa da sito a sito, a seconda di esigenze, opportunità e ricorrenze da vagliare caso per caso. E questa flessibilità ha incontrato l’apprezzamento di molti, dal direttore della Galleria degli Uffizi, Eike Schmidt, ad Anna Coliva, direttore della Galleria Borghese. Meno contento Graziano Del Rio, PD, che infatti per rispondere ha richiamato i numeri dei 14 milioni di visitatori in 4 anni. 
La causa che ha provocato tale conseguenza – e probabilmente varie altre ne vedremo nei prossimi mesi – dovrebbe risalire a un diverso approccio al bene culturale, una scelta che, secondo quando emerso dalle discussioni alle camere, ‹‹vorrebbe sottrarre i beni culturali da certe logiche speculative che ne potrebbero pregiudicare la tutela››, nelle parole di Bianca Laura Granato, Movimento 5 Stelle. Qualcosa in più di una frecciatina, nel cui bersaglio è facile riconoscere quel vincolo aziendale annodato dalle direttive di Franceschini, per esempio, con l’impostazione dichiarata dei superdirettori manager. 
Se sia lecito paragonare un museo a un’azienda, quindi, a una struttura che deve necessariamente portare utili, era la questione sollevata da Franceschini, vexata ma tutt’altro che risolta e alla quale Bonisoli darà la sua risposta. (mfs)

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