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«Quando vidi i suoi lavori mi catturò questo raffinatissimo segno così semplice e così lontano – se vogliamo – dalla tendenza dell’arte contemporanea, dai toni urlati e dallo shock che vuole creare a tutti i costi. Il suo è quasi un approccio inattuale. È come se attraverso questa metodica lentezza si arrivi ad una meditazione visiva attraverso la linea ripetuta. È come se volesse restituire profondità e respiro al lavoro pittorico ma anche all’immagine. Il soggetto ricorrente dei suoi lavori, il vaso, rimanda al tema della condivisione, del riparo e dell’abbondanza». Così ci ha detto Maria Giovanna Musso, sociologa e docente universitaria, curatrice della mostra di Peter Kim “Sull’orlo della forma”, in corso fino al 4 novembre, presso il Museo Carlo Bilotti di Roma.
Peter Kim è originario della Corea del Sud, si è formato in Asia e in Europa. Le sue opere sono state esposte in diversi musei e gallerie in Francia, Giappone, Hong Kong, Corea del Sud, Belgio, Messico, Serbia. Il suo lavoro si basa sul tema della memoria e sulla metodica interiorizzazione della pratica del segno. Un segno delicato che, fuori dai canoni di tempo e spazio, si intreccia creando una fitta ragnatela che, attraversando il passato, tiene impigliata la realtà. «Un lavoro così minuzioso fatto con linee sottili e ricurve che si inseguono e si intrecciano tra di loro creando le condizioni affinché una forma appaia e che si inglobi questo vuoto dentro il segno, dentro la forma, dentro ad un pieno. Ritrovo una componente mistica in questo tratto con la capacità di rilegare e di connettere la forma e il vuoto, il nulla e la presenza».
All’interno della mostra ci sono opere dove il segno, delicato e raffinato, si materializza in un groviglio intricato di fili che ci evocano, inevitabilmente, Maria Lai: «è incredibile come in due posti così diversi e così lontani del mondo ci siano artisti che si ispirano e che lavorano sulla stessa materia. Il rimando alla memoria che, in questo caso, passa attraverso l’utilizzo del filo – elemento che rappresentava simbolo e metafora in Maria Lai, come anche i capelli delle donne, esemplificativi per collegare la montagna alla comunità, per legare le persone tra loro- sviluppato da Peter Kim fa emergere il tema della relazione sociale. Essendo una sociologa questo tema mi sta particolarmente a cuore, ovviamente nella trasfigurazione artistica non c’è un ragionamento sociologico che tenga e non è sensato approfondire in maniera analitica questo elemento. Comunque, dal punto di vista dell’ispirazione e dell’evocazione, c’è questo rimando al legame tra le cose e gli esseri, tra gli esseri e le cose». (Valentina Muzi)
In home e in alto: photo credit Giacomo Nicita