17 agosto 2018

A Palermo, il collettivo DUSKMANN riapre la Chiesa della Madonna Del Soccorso, con Prelude

 

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Ai due luoghi “sacri” che gli esegeti palermitani raccomandano per definire una visita di Palermo (che anticamente voleva dire “grande porto”) davvero profonda, quest’anno se ne aggiunge un terzo: Via Maqueda 387, Chiesa della Madonna della Mazza. Se il primo è il Santuario di Santa Rosalia e il secondo è un minuzioso “ecoscadaglio” del Monte Pellegrino, da compiersi entrambi a piedi (i luoghi si trovano l’uno dentro l’altro), in via Maqueda ha invece sede l’installazione interattiva Prelude, all’interno della chiesa che custodisce la tomba di uno degli architetti dei Quattro Canti, oltre che della Chiesa Stessa, Mariano Smeriglio, che la progettò tra il 1603 e il 1606. 
Prelude è il progetto site specific di DUSKMANN, letteralmente uomo del crepuscolo. DUSKMANN si occupa d’arte ed è composto da identità sommerse e individuali che polifonicamente collaborano. Il collettivo fiorentino attinge a piene mani al registro musicale crepuscolare come quello di Mark Lanegan e, al contempo, all’astrattismo storico declinato nel medium di una fotografia accumulativa. La Sicilia è tra le loro mire da più di quattro anni con minuziose fotografie di marmi e pietre scattate sia in analogico che in digitale. Prelude è il progetto site specific per la Chiesa della Madonna della Mazza, prospicente rispetto al maestoso Palazzo Mazzarino e non a caso capeggiano i ringraziamenti alla famiglia Berlingeri e alla Curia della città. 
Prelude atterra a Palermo trasformando l’inerzia e il vuoto di una chiesa inutilizzata da 40 anni in un dispositivo scenico astratto. Infatti, varcato il portone di ingresso, i due portali lignei laterali risultano bloccati e al centro tre ottagoni trasparenti tagliano la vista spaccando a metà l’altare, presbiterio e platea sono occupati da forme semibuie. Sbirciando all’interno di uno di questi si viene risucchiati come in un caleidoscopio. Improvvisamente ci si troverà proiettati dinanzi a un’immagine prismatica ma univoca. Un’immagine buia e accattivante ove sei quadri sorreggono dei rettangoli e un grande pietrone centrale. Un inerte cuore prende il posto del “curato officiante”, tutto profilato dal buio. 
Se mentre spiamo da uno degli ottagoni di vetro che ci permette la vista dell’interno – tranquilli ce n’è per ogni altezza – tastiamo un poco il muro ligneo che ci blocca nell’anticamera della chiesa, si scorgerà un foro per una moneta (attenzione No 1 Cents!) e la targhetta “Na Vampa che s’adduma Rintra”. Il tintinnio della moneta che penetra nel foro riporta indietro nel tempo. Un tempo che perdura a Palermo ma non altrove, un tempo dove per lo svago bastava un flipper, un gioco analogico, privo di noiosi hashtag, cavi usb e battery pack ma colmo di sensatezza. Inserita la stessa, Il tintinnio del meccanismo a peso attiverà un sistema di luci temporizzate che bruceranno di luce l’altare e la navata principale donandoci la cecità per qualche istante. 
Dopo il primo vacillare recuperiamo le pupille ed ecco Prelude. Una successione di tre e tre quadri di legno bianco, finemente disegnati in maniera un po’ pesante e ampollosa, sorreggono delle immagini quantiche. DUSKMANN concepisce Prelude come un’astronave che incide le nostre pupille infilzando con la fotografia stampata “la carne della pietra”, una carne inusuale e una pietra vista in ottica diversa. La memoria va al libro capitale del sociologo Richard Sennet, “Flesh and Stone”: «The Elgin Marbles were unusual because they brought togheter the vast crouwd of human beings in the Panathenaic processsion with such images of the gods». Un’elegia al crepuscolo del tattile di Dio e degli Dei. Carne e pietra dove il masso diventa attivatore di mneme, spazio, alterità. Dove il diaspro rosso posto al centro dell’altare è un omaggio al dio dell’astratto, dio laico e ironicamente pagano, pulsante come un cuore rosseggiante, bianco come un cadavere. Lo sguardo attonito è completamente catturato. L’attenzione scocca come una freccia su un cuore centrale in quarzo estratto, “come una patata” dal ventre della Trinacria. Una forma lucida, vibrante e quasi viva posta al centro dell’abside, come a dir messa. La pietra, «solamente lucidata ma nella forma estratta così com’era», mi assicura uno degli artisti, «ci riportava ad un cuore». Una pompa celeste che convoglia l’energia spirituale travolgente sull’asse prospettico centrale. 
Tre immagini da un lato e tre dall’altro procurano una sensazione pari alla vertigine, trafiggendo metaforicamente la pietra centrale, lucida e pulsante. Veniamo scortati all’interno e dalla visione frontale e d’insieme si passa ad una promiscuità. Dall’immaginazione a vedere i dettagli. Altri segreti a disvelarsi agli occhi. I quadri racchiudono quelle che sembravano “sculture uniche” ma si tratta di fotografie racchiuse in elementi di vetro geometricamente squadrati a loro volta abbracciati dallo scrigno ligneo. Quasi degli UFO dell’astratto, attraccati nel grande porto di Via Maqueda 387. 
Vetri fumé e trasparenti sono tagliati a creare una saetta verso il diaspro. Ciascun quadro è stato marcato con un elemento di pietra unico sul retro a sua volta fotografato con una Polaroid che ne costituisce l’autentica. Il numero di copia è segnato da un triangolino elegante e manieristico, sempre sul retro: tre piccoli triangoli di cui il primo è colmo di bronzo (nel caso fosse la seconda copia sarebbero due i triangoli pieni di materia fusa). Gli elementi geometrici dominano la scena in una minuziosa rielaborazione dello spazio che inizia con la precisa volontà di lasciare la polvere a terra intatta all’utilizzo di luci al led temporizzate. 
Una sorta di “orgia astratta” dove l’arte contemporanea riapre al pubblico, eviscera un’energia inesplosa e permette anche al visitatore distratto di entrare in contatto, prendere parte, “fare mondi” per dirla con Daniel Birnbaum. Se i podi lignei di fattura toscana e artigianale fungono da pesanti e ossessivi scrigni tutte le 82 stampe possono essere incastrate l’una nell’altra, a creare una sintassi visiva, una metastasi ove anche la polvere a terra acquista valore e convoca senso anche se Prelude è composto da soli 12 quadri geometricamente incasellati. 
Penetriamo la zona più remota. Si salgono le scale tra la polvere e oggetti non meglio definiti, l’ufficio immaginazione dei DUSKMANN a Palermo. Ascendiamo su un soppalchino anni ’50 illuminato da una apertura zenitale: altri sei elementi, questa volta neri e non bianchi con altre immagini, altri scrigni, altri voli intercontinentali nel baratro del crepuscolo. Lo spazio è stretto, la polvere aumenta con il caldo. Il caldo palermitano quello “dell’asciruccamentu”, esattamente come il colpo d’occhio, che in un’arte politically correct e spesso noiosa si perde. Qui al contrario troviamo bellezza, lampo, precisione: riaprire una chiesa, far sì che assurga a nuovo culto pagano e quantico, in questa Palermo che non smettere di essere a strati, ad accumulazioni. 
Prelude è fabbricato con cura per colpire nel segno. Un segno lasciato in questo marasma da grande evento non è impresa da molti. Ancora una volta si conferma che con precisione, estetica, apertura mentale e tanto lavoro si riesce a far funzionare il dispositivo arte anche quaggiù nella città del non detto e nella città complessa “come una Cipolla” per dirla alla Roberto Alajmo. Una cipolla saporita, a strati, senza false illusioni. Una Panormo dura e ironica, sprezzante e odorosa da far piangere. Pagana e rozzamente aristocratica. E Prelude è forte oltreché davvero elegante. Mettere Monte Pellegrino e l’opera fugacemente temporanea dei DUSKAMANN in relazione è follia? Certamente, ed è la cifra stilistica di questa città, come tenere la Chiesa della Madonna della Mazza chiusa per quarant’anni. (Gaspar Ozur)

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