20 agosto 2018

I tesori del monastero. Arte contemporanea al Convento dei Domenicani di Muro Leccese

 

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Tornano ad animarsi le suggestive sale del Convento dei Domenicani a Muro Leccese, piccola località del Salento, a 30 chilometri da Lecce. Dopo la personale di Delphine Valli dello scorso anno, gli spazi conventuali ospitano, fino al 24 agosto, una nuova mostra, questa volta collettiva, “Trèsors d’un monastére”, organizzata da Yannick Guerniou-Laviolette, giovane curatore e mercante d’arte francese, titolare ad Amsterdam di Laviolette Gallery. 
Tra i protagonisti, nove su tredici sono fotografi: Vania Broccoli, Francesco Cabras, Ernesto Fiorentino, Jessica Guidi, Marco Ponzianelli, Sandra Paul, Eric Van Der Berg, Daniele Coricciati, che ripropone Petra, lavoro del 2015 dedicato alla pietra del Salento, firma naturale del territorio ma anche depositaria dell’immaginario e della cultura della sua gente, Andrea Pacioni, presente anche con interventi fotografici più impegnativi in termini mensurali e con un’ampia installazione, e infine Mattia Morelli, i cui scatti riproducenti oggetti liturgici, essenziali e non proprio scontati, dialogano alla perfezione con lo spazio, ponendo in parte rimedio ad un allestimento generale non sempre impeccabile. 
Dialoghi perfettamente riusciti tra opere e spazio sono anche quelli instaurati da Massimo Ruiu, Sabino de Nichilo e Francesca Romana Pinzari, gli unici non fotografi, le cui ricerche di estrazione concettuale si evolvono prevalentemente in pratiche scultoree e installative. Instancabile sostenitore del valore filosofico dell’arte, Ruiu inscena nella sala del refettorio una riflessione ad ampio raggio sugli opposti dentro-fuori, vita-morte, pieno-vuoto, luce-buio. Agendo con le consuete chiocciole, divenute firma iconica, trovate al di fuori del convento e perciò testimonianze del luogo, metafora naturale del genius loci, l’artista disegna su una delle pareti un infinito che cessa di essere tale nel momento in cui le chiocciole si spostano. Ma quando le stesse distruggeranno un foglio su cui è disegnato un teschio, porranno metaforicamente fine alla fine, ristabilendo il concetto di infinito. Al mondo naturale attinge anche Pinzari, che utilizza i capelli come segno grafico e gesto scultoreo. Intrecciati in una rete per creare angeliche figure o morbidamente distesi in volti melanconici, i capelli sono i segni mutevoli dell’esistenza intesa soprattutto come resistenza. Pulsioni organiche – ricreate e non proposte – attraversano anche le sculture in terracotta invetriata di De Nichilo. Dislocate tra i resti scultorei del convento, le sue strutture cardiomorfe sembrano animare le lapidee testimonianze, rievocando le vicende umane trascorse in quel luogo e parafrasando le emozioni vissute e le storie non scritte. (Carmelo Cipriani)

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