27 agosto 2018

Icone per caso #12

 
L’ultima icona: il relitto dalla spiaggia al museo? Il passo è breve, ma non si fa
di Roberto Ago

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Anche il reperto nel quale mi sono imbattuto quest’estate sa indicarci quanto uno sguardo allenato possa scorgere la bellezza nelle situazioni più diverse senza il bisogno di recarsi per forza in gallerie e musei, dove la sensazione al contrario è sempre più spesso quella del deja-vú, del logorio delle pratiche e di aspettative sovente disattese. L’icona in questione si trova in un suggestivo porticciolo di pescatori a dieci minuti dal paese di Koufonissi nell’omonima, splendida isola dell’arcipelago cicladico. Quel fantasma di barcone emana ancora un olezzo di gasolio misto a marciume, un’alchimia consueta in porti e rimessaggi. Fantasticare di quando, in condizioni non dissimili ma temporalmente invertite, andava vedendo la luce in qualche cantiere navale, quindi immaginarlo mentre fiero solcava le onde con i gavoni stipati di pesce, è stato tutt’uno con il cordoglio nei confronti di un essere a suo modo mitico e che ha vissuto per chissà quanto tempo. Mi ha fatto venire in mente, anche, la carcassa di un animale spiaggiato, di un balenottero o qualcosa del genere. Impressionante è la sua somiglianza con una carcassa in decomposizione, l’immagine tangibile di un medesimo logos che informa natura e cultura è valsa ai miei occhi più di tante opere d’arte.
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All’improvviso, tuttavia, un pensiero “vecchio stile”. L’ho immaginato collocato tale e quale in un’asettica sala espositiva, bello livido e straniante. Qualche tempo fa certamente avrebbe fatto il suo effetto, ma oggi che di relitti ne abbiamo visti esposti in quantità, varrebbe davvero la pena di separarlo dal suo letto di morte per sparargli addosso un neon tra quattro mura di cartongesso? La risposta è no, mi sono accontentato di godermelo lì dov’era, consapevole che di artisti collezionisti di reliquie ce n’è già a profusione e che la bellezza di quell’incontro potesse bastare a se stessa. Però attenzione: ho potuto apprezzalo solo grazie a Duchamp e all’arte contemporanea in genere, altrimenti lo avrei considerato un rottame come chiunque altro. Si tratta esattamente di praticare un’arte di ritorno, di applicare nella vita ordinaria le tante astuzie apprese in musei e gallerie e che lì dentro non funzionano più come un tempo. In effetti, questo relitto in libertà denuncia suo malgrado la necrofilia di un certo tipo di ready made che ancorché tuttora molto praticato, appare più mortifero della morte che esibisce. 
“Icone per caso” si conclude qui. Mi auguro di aver saputo fornire, nel corso di questi dodici appuntamenti, dei suggerimenti utili a praticare un’arte del saper guardare che non necessiti di vedersi reificata sempre e necessariamente, ma al limite di essere raccontata. Una nuova rubrica comincerà a settembre, si intitolerà “Icone allo specchio” e vedrà alternarsi, con cadenza settimanale, una serie di dittici disposti una volta in verticale, la successiva in orizzontale e così via per un anno intero. Nessun testo ne esplorerà più il potenziale, lasciando che siano unicamente l’accostamento e l’abilità interpretativa dello spettatore a colmare la lacuna. Al di là dell’efficacia formale, saranno infatti ricercati solo quegli specchiamenti in grado di innescare sensi inattesi, interrogativi e riflessioni, secondo un modus operandi per me consueto. 
A presto!
Roberto Ago

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