02 settembre 2018

Festival di Venezia/3. I promessi sposi a Tel Aviv, la quiete familiare e le amiche geniali

 

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Ramallah, un giorno d’estate piena. La TV è accesa in tutte le case, di ebrei come di palestinesi, perché è l’ora subito prima del pranzo, quando la tavola è apparecchiata e le donne aspettano gli uomini. Militari se sono ebrei, disoccupati o commercianti di cibo se sono palestinesi. Tutte guardano estasiate Tel Aviv on Fire ovvero la storia degli intrecci amorosi fra una spia palestinese, un generale palestinese, e uno ebreo da cui la spia deve carpire informazioni. Peccato che invece le donne che lo guardano, ebree come palestinesi, sperano sia amore vero. A realizzare il loro sogno dovrà pensarci un improvvisato sceneggiatore, trentenne disoccupato, nipote tutto fare del produttore,  veramente innamorato e senza speranze della figlia medico del fruttivendolo del quartiere. Aiutato dal capitano ebreo del check point a scrivere le battute credibili di un militare innamorato di una spia palestinese, dovrà convincere tutti di essere un grande scrittore, per conquistare Mariam. In un continuo ribaltamento fra realtà e finzione, con eleganza, ironia e precisione, il film racconta la fatica di dovere rinunciare a vivere per tenere in piedi simboli incapaci di parlare a chiunque. Lo stato dei padri, le uniformi, le leggi, e in mezzo la difficoltà di non riuscire a vivere se non in un perenne conflitto. Tel Aviv on Fire (nelle foto due stills) è il titolo vero del film, oltre che della fiction narrata al suo interno, e ha la grazia dello sguardo innocente dove di innocente non c’è proprio nulla. E ha anche una inedita carica di speranza, arrivando con coraggio alla domanda semplice semplice: Perché dobbiamo preferire la morte alla vita?

Di storie minime e di quartieri, ma con un taglio meno globale e più decisamente intimista, parla la versione televisiva dell’Amica Geniale, presentata oggi da Saverio Costanzo, comprodotta da Rai e HBO, con le musiche di Max Richter, ambizioso progetto di riscrittura cinematografica di un grande successo letterario. Il film tiene, e mantiene tutte le promesse.

Infine, sempre sul versante familiare e sulla difficoltà di vivere nei simboli ereditati, La Quietud, film argentino che racconta le relazioni di una famiglia modello, fino a quando non si arriva alla definizione di una eredità difficile, una grande fortuna terriera che corrisponde a quella della dittatura militare, che non ha lasciato indenni i desideri, le speranze, le forme di affetto, in una perversione che solo la tecnologia e il desiderio senza freni di vivere possono se non salvare, almeno rendere possibile per il futuro una qualche forma di amore. Un film che farà discutere, perché non ammette alcuna morale facile e non trova nessuna uscita semplice fra relazioni endogamiche, isolamento e ambiguità. (Irene Guida)

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